Drammatico, Giallo, Miniserie, Streaming, Thriller

SHARP OBJECTS

Titolo OriginaleSharp Objects
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2018
Durata1 stagione, 8 episodi
Tratto dal romanzo Sulla pelle di Gillian Flynn
Musiche

TRAMA

Due ragazzine sono state rapite e assassinate. Quando sono state ritrovate, la loro bocca era aperta e l’assassino aveva strappato loro tutti i denti. Spetta alla giovane reporter Camille seguire il caso per conto del giornale per cui lavora. Da quando se n’è andata da casa non ha quasi più parlato con i suoi familiari: né con la madre, bella e inavvicinabile come una bambola di porcellana, né con la sorellastra che conosce a malapena. Ora, tornata nella dimora vittoriana di famiglia, Camille è perseguitata dai ricordi d’infanzia e da una tragedia che neppure un ricovero in un ospedale psichiatrico le ha permesso di dimenticare.

RECENSIONI

Nomen omen: Sharp Objects è una serie tv spigolosa, scomoda, appuntita, dalla quale sovente si distoglie lo sguardo. Non per l'efferatezza, quanto per una costante sensazione di oppressione e claustrofobia. Tratta dal romanzo Sulla pelle di Gillian Flynn (autrice anche di Gone Girl), la miniserie HBO – arrivata in Italia grazie a Sky Atlantic – si avvale di svariate eccellenze, a partire dalla showrunner Marti Noxon (già sceneggiatrice di Buffy l'ammazzavampiri e Dietland) e dalla regia affidata in toto al Jean-Marc Vallée di Dallas Buyers Club. Tra le pieghe degli 8 episodi si repira un po' la medesima aria di True Detective, e questa è anche una delle critiche ricorrenti mosse al prodotto con protagonista Amy Adams. Come fosse un'emulazione, un tentativo di riproposizione pedissequa. In verità Sharp Objects cerca di riprodurre fedelmente la struttura del libro di riferimento, nel bene e nel male: più che sul caso e sull'indagine criminale, l'attenzione è rivolta alla psicologia e allo studio dei personaggi, con minuziose descrizioni del contesto ambientale e sociale. Sharp Objects non cerca mai di essere quello che non è, e gioca sempre a carte scoperte: la giornalista Camille Preaker, che torna a Wind Gap – sua città natale – per realizzare un servizio sulla scomparsa di due ragazzine ritrovate uccise e torturate, è il fulcro della narrazione, anche quando gli eventi non sembrano riguardarla.

Tutto ciò che accade, in quello Stato che appartiene ancora al Midwest pur essendo l'ultimo prima che il sud vero e proprio inizi, è filtrato dal suo sguardo e dal suo modo di vedere le cose. Non è, la sua, un'analisi lucida e oggettiva, e di conseguenza anche il nostro punto di vista si distorce di continuo. Camille non torna a Wind Gap da decenni, non ha un buon rapporto con la madre passivo-aggressiva e maniaca del controllo e sconta i traumi subiti da ragazzina con gesti di autolesionismo (il suo corpo è una mappa di parole incise e cicatrici) e abuso di alcol. Il suo è un viaggio attraverso un'America devastata, in cui anche i cartelli stradali suggeriscono di cambiare rotta (“This is the last chance to change your mind”), con la speranza di esorcizzare ed estirpare il dolore di una vita. La cifra formale di Sharp Objects è dunque il tormento, la privazione, e la storia riguarda in realtà gli effetti della repressione e della negazione a livello individuale, la mostruosità che può infangare quando non lasciamo entrare la luce o la verità (il famoso “sonno della ragione che genera mostri”). Il mistero dell'omicidio è evidentemente subordinato a quello della psiche di Camille. Si lavora quindi sui dettagli, sui colori funerei, sulla coazione a ripetere, sull'ossessione e sull'ossessività; si procede a strappi e sussulti, perché è così che la mente di Camille ragiona e analizza.

L'elemento più efficace della serie è proprio la capacità di rendere tangibile ed effettiva la sua percezione sensoriale spesso deforme, nel momento in cui rivede nella ribelle sorellastra Amma (Eliza Scanlen) la defunta Marian, oppure quando un fruscio o il suono di un ventilatore le permette di rivivere flash della propria innocenza perduta a causa della fredda e distaccata genitrice Adora (Patricia Clarkson) e della facile cattiveria di una comunità dalla mentalità chiusa. Il fatto che, in conclusione, non tutto collimi alla perfezione – almeno un paio di piste narrative vengono abbandonate a loro stesse, l'epilogo (controfinale nei titoli di coda compreso) sfida forse eccessivamente le regole della credibilità – sembra fare parte del disegno iniziale, sembra cioè rispondere ad un universo interiore in cui, parafrasando Lars von Trier, il caos per forza di cose regna e la pace – spirituale, fisica – non è che uno stereotipo da romanzetto d'appendice (lo stesso che vive buona parte della popolazione di Wind Gap, che nasconde l'orrore sotto una spessa coltre di perbenismo e frasi fatte). Il risultato è il ritratto assolutamente ipnotizzante di una donna che si è lasciata abbattere dall'interno da ciò che ha patito e che non ha più alcuna energia per sperare nella salvezza. La giustizia esiste e non esiste, resta un sogno impossibile, un miraggio o una fantasia iraggiungibile. Ma è poi così importante?