Drammatico, Recensione

SENZA LASCIARE TRACCIA

Titolo OriginaleLeave no Trace
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2018
Durata109’
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Tom vive in un parco boschivo di Portland con il padre veterano di guerra: le autorità li prelevano e sistemano in una fattoria. Tom si trova bene, ma il padre vuole fuggire e non avere nulla a che fare con la civiltà.

RECENSIONI

Inedito spaccato americano capitolo 2, dopo Un Gelido Inverno, per Debra Granik e la co-sceneggiatrice Anne Rossellini: anche in questo caso, adattano un romanzo (di Peter Rock, ispirato ad una storia vera) e descrivono la relazione di una giovane protagonista con la figura paterna. Reduce dal documentario Stray Dog su di un biker veterano di guerra, Granik ha il dono della sobrietà significativa, dove ogni blocco narrativo vive di per se stesso, senza necessità di agganciarsi alle direttive di un apologo morale sovrastante: nel primo blocco ci sono l’idillio della vita a contatto con la natura (con manuale di sopravvivenza per “non lasciare traccia”) e segnali di disturbi post-traumatici bellici, soverchiati da un forte legame padre/figlia di cui sono persuase anche le autorità (il padre è la casa di Tom). Segue una sorta di trattato sociopolitico che mostra, con i fatti, la longa manus della società per il reinserimento, fra moduli, patenti, cellulari, lavoro stabile, Chiesa Scuola e Comunità. Il paradosso: per mantenere l’indipendenza, bisogna adattarsi. La controcultura Into the Wild di Captain Fantastic inizia a perdere appeal, sempre senza forzature, quando l’assistente sociale rimarca l’altra funzione principale della scuola, la socializzazione, che Tom esperimenta con piacere e abbandona per seguire la fuga paterna in un on-the-road anni settanta. La fiducia crolla nel terzo blocco narrativo, non per il freddo sofferto ma quando Tom realizza la vulnerabilità del padre, cui solo gli esecrati “altri” sanno porre rimedio. La “morale” viene da sé e rispetta le scelte individuali: della comunità Tom ha bisogno, le paure paterne non sono generalizzabili (l’allegoria delle api), c’è l’opzione raminga del fantasma dei boschi. Anche se letta come romanzo di formazione al distacco dalle figure genitoriali, la quadratura dell’apologo è meno sorprendente delle inedite tipologie di comunità rappresentate: la fattoria di alberi di natale, i giovani del 4-H Youth Development Program e, con sistemi di valori da Re della Terra Selvaggia, gli homeless nel parco e il camping nel bosco (lo Squaw Mountain Ranch). C’è un nuovo filone, nel cinema americano, incentrato su stili di vita alternativi, fra utopia e contestazione.