TRAMA
“Questa novella è stata scritta da Giovanni Verga più di cento anni fa. Solo per caso si svolge in Sicilia. Per caso in una miniera. Quello di cui si narra potrebbe essere successo oggi, ovunque nel mondo ci sono bambini soli, sfruttati e maltrattati”.
RECENSIONI
Rosso Malpelo di Scimeca rilegge il manifesto del verismo ma non gli dona nuovo senso, anzi ripropone provocatoriamente lo stesso. La Vita dei Campi (1880) è rispettata, integrata e infine tradita: per dire, tra le righe e i fotogrammi, che la ferita sanguina ancora perché la questione non è mai stata risolta. Vediamo nello specifico.
Scimeca si attiene veristicamente ai dettati dell'originale: ripropone le locuzioni della novella (esempio: i compagni augurano a mastro Misciu di non fare 'la morte del sorcio') e riverisce le inflessioni dell'intreccio rispettandole nella loro quasi totale interezza ('- Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di Nunziata!'), insieme allo stesso sottilissimo sostrato psicologico verghiano. E' proprio nelle sue maglie che il film si insinua e offre un Malpelo 'torvo, ringhioso e selvatico' che, dopo la drammatica morte del padre, acquista in sé la durezza della vita sottoterra e violentemente la declina, come una bestia cui si paragona, tranne certi spiazzanti e immortali lampi sentimentali. Il regista drammatizza altresì la materia e la rende più cinematografica attraverso alcuni innesti lievi, più o meno risolti, che deragliano dalla fedeltà di fondo ma continuano a servirne diligentemente le allusioni sostanziali: il testo non parla del padre di Ranocchio, e non si sofferma quindi sul tema infedeltà coniugale, non presenta la nonna di Malpelo né la giovane e unica amica di quest'ultimo (nei titoli di coda chiamata semplicemente 'bambina') e neanche l'umanità avvinazzata della bettola. Gli inserti toccano personaggi ma anche e soprattutto situazioni: l'anomalo Malpelo moderno resta indefinito nel tempo ma, di traverso, vi si affacciano torvamente i nostri egoismi, le superstizioni religiose - la sequenza del rosario è tragicomica quanto rivelatoria - e addirittura l'ombra nera della pedofilia. Tutte cose che ci toccano da vicino ma non si impongono in questa rilettura, restano anzi in trasparenza dietro la sagoma del Classico e si concedono su richiesta per chi avrà premura di osservare. E poi, a livello rappresentativo, Scimeca non rinnega affatto un modo di filmare roccioso e contemplativo, parente ma non schiavo del teatro, che punta forte sulla ruvida e polverosa fotografia di Duccio Cimatti: volti condannati, sguardi compromessi, aliti di vita. L'autore, come già segnalato altrove, conosce molto bene Brecht e lo riafferma in una sequenza memorabile: la pantomima dei poveracci. Questi tentano di sottrarsi vicendevolmente ipotetici oggetti di prima necessità (una gallina e una chitarra), tra farsa e grottesco - il barbone promette all'amico una degna sepoltura -, tra partecipazione e raccapriccio, tra lacrima e sorriso: la miseria eccessiva ha un volto sardonico e anche Rosso Malpelo, dinanzi a questa prova di assurdo tangibile, si apre allo sghignazzo liberatorio. Infine il protagonista volge spontaneamente al sacrificio in miniera, al contrario della fonte ('Malpelo non aveva nemmeno chi si prendesse tutto l'oro del mondo per la sua pelle, se pure la sua pelle valeva tanto: sicchè pensarono a lui'); ma ci può stare, nelle corde di una provocazione che tocca l'apocrifo e innesta adeguatamente sul capolavoro scritto i chiari timbri della visione. Splendida prova del cast tutto: dal solito straordinario Mazzarella nel breve ruolo di mastro Misciu, che ci guarda dritto negli occhi nel fotogramma in cui si spegne la vita, alla rivelazione Antonio Ciurca, il quale non fa bensì è Rosso Malpelo. Il migliore titolo italiano dell'anno esce in 15 città e lancia il progetto omonimo che viene ampiamente illustrato nel sito ufficiale.
Pasquale Scimeca: E' ridicolo che un film come il nostro non possa trovare spazio. I dati dicono che in Italia il 97% del mercato passa da sei distributori.