TRAMA
Le vicende di Rosencrantz e Guildenstern, compagni di studio di Amleto, dall’arrivo a Elsinore alla loro morte rocambolesca.
RECENSIONI
Il film più sottovalutato degli anni 90.
Rosencrantz e Guildenstern sono personaggi secondari dell'Amleto che vengono elevati al rango di protagonisti di un dramma che entra e esce dall'opera di Shakespeare, costituendone una sorta di vicenda parallela che mette in luce i dubbi che attanaglierebbero i due personaggi allorquando non appaiono nel capolavoro del Bardo. I due, servi inetti del Potere, chiamati a corte per interrogare il principe e scoprire le ragioni del suo comportamento, diventano gli inconsapevoli latori della lettera che ordina la sua esecuzione. Ma Amleto, sostituendo al suo il nome degli ex compagni, ne decreta la beffarda morte.
Al centro di un gioco più grande di loro, un gioco che non capiscono, ma che intuiscono esistere (e che è quello dell'autore: i protagonisti sono personaggi senza passato, che non esistevano prima che cominciasse l'opera, che nascono letteralmente con essa, confusi persino sulla precisa attribuzione alluno e allaltro dei rispettivi nomi), R&G da un lato rappresentano le vittime della Storia, del Caso e della Necessità (quella drammaturgica scespiriana) - antieroi che scontano colpe altrui, gli outsider, le pedine di un Destino e di un Demiurgo che sembrano divertirsi alle loro spalle -, dallaltro si affermano come i perfetti interpreti della condizione umana, esseri che non sanno chi siano e dove stiano andando e che disperatamente cercano le ragioni e il senso del loro stesso esistere.
Stoppard maneggia Shakespeare con perizia sopraffina, lo penetra e ne fa sfondo al suo personale e frontale dietro le quinte e, nell'operazione metatestuale, cita teatro dell'assurdo (la consapevolezza beckettiana dellesistenza del testo) e avanguardia, coniuga slapstick e commedia sofisticata, mischia suggestioni del passato e del presente, gioca con la relatività e l'assoluto, con le apparenze e i punti di vista dall'alto di una scrittura perfetta.
Divertente (la partita a tennis tutta logica e retorica che dovrebbe preparare i due al match dialettico con il principe), profondo (la scena della rappresentazione teatrale che moltiplica i livelli e anticipa la fine è momento altissimo), recitato con lo spaesamento necessario da un'accoppiata da urlo (Roth & Oldman), con la partecipazione del sempre adorabile Richard Dreyfuss (il capocomico che sembra l’unico consapevole del meccanismo rappresentativo e che quasi adombra la possibilità del ricorrere infinito delle medesime circostanze), Rosencrantz e Guildestern sono morti è acrobazia filmica (e sottolineo filmica) portentosa e coltissima, che non teme di mischiare gag e filosofia.
Tom Stoppard, quotatissimo drammaturgo, al suo debutto cinematografico (al momento senza seguito), decide di adattare, modificandola (e migliorandola), una sua famosa piece degli anni 60 e ne trae un film di rara intelligenza che, nonostante (o a cagione de) il Leone d'Oro a Venezia, fu inspiegabilmente attaccato e ingiuriato, penalizzato da una distribuzione rinunciataria.

La Morte osserva la rappresentazione della Vita che è spettatrice della morte di Re, Principi e Signori "Nessuno". Chi è Rosencrantz, e chi è Guildenstern? Conta poco nel gioco di ruoli della finzione dove i corpi, come fantasmi in viaggio predestinato, hanno difficoltà a ricordare, anzi, a raccordare i "ricordi", le "scene" nella memoria, in assenza di tempo reale. I due protagonisti subiscono il "montaggio", la sintesi, si ritrovano sempre al posto giusto per spiare comodamente il clou dell'azione, sono spettatori come noi. Il commediografo cecoslovacco Stoppard (alias Tomas Straussler), eclettico e visionario sceneggiatore per Losey, Fassbinder, Gilliam e Spielberg, passa alla regia con un suo atto unico risalente al 1964, strappa un Leone D'oro a Venezia e sorprende favorevolmente con un raffinato gioco cerebrale e metateatrale, che aggira il gravoso autocompiacimento con una felice ironia: l'idea, geniale, è quella di innestare la comicità di Stan Laurel e Oliver Hardy in una complessa analisi del testo shakespeariano, mascherata da avventura grottesca e spin-off dell'originale. Per mezzo dei personaggi interpretati da due eccezionali Oldman e Roth, si alternano gag spassose e acute riflessioni, sublime Teatro dell'Assurdo (la partita a tennis verbale) e speculazione filosofica sulla Vita, la Morte e l'Arte che le replica. Da vero epigono di Shakespeare, Stoppard rapisce l'attenzione del pubblico con la burla (Oldman che inventa il Big Mac e l'aeroplano!), i trucchi, il mistero, il gioco di doppi allo specchio; al contempo, elabora un sottotesto che permette la doppia (tripla) lettura: l'ossessione dei due protagonisti per le leggi della fisica potrebbe essere un'esigenza della loro "immaterialità", la figura del capocomico trasfigura in quella del demiurgo/regista, di Shakespeare stesso, ma anche del boia alla forca. E l'aereo di carta che torna indietro? Potrebbe essere il segno del cerchio che si chiude, della tragedia che si vuole compiuta. Essere o non essere, appunto, per capire (l') Amleto.
