Azione, Recensione, Thriller

RONIN

Titolo OriginaleRonin
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1998
Durata121’

TRAMA

Un gruppo di mercenari, ex-agenti dei servizi segreti, viene ingaggiato dagli irlandesi per trafugare una misteriosa valigetta. Ma, a colpo ultimato, iniziano i primi tradimenti…

RECENSIONI

In un decennio in cui il cinema d’azione secondo la formula Bruckheimer andava per la maggiore (opere girate in studio, storyboard troppisti, profusione di effetti speciali, ricerca spasmodica della “meraviglia” da videogioco e della velocità), il grande leone John Frankenheimer si riaffaccia al cinema da maestro, ricordando alle platee di quale fascino e impatto realistico fosse capace un cinema in cui erano “veri” gli inseguimenti d’auto eseguiti da straordinari stuntmen o le sparatorie per le strade, meravigliose per coreografia in sé e non per fronzoli esibizionistici della macchina da presa. È una questione di ritmo imposto all’interno della scena e dal montaggio, di “anima” racchiusa dentro ogni sequenza: il regista era uno dei pochi capaci di sposare spettacolo, suspense e spessore psicologico. La fotografia color ruggine, dell’inganno e decadente, ricorda certi film di spionaggio anni settanta stile Il Giorno dello Sciacallo, mentre Frankenheimer ritrova la Francia autentica del suo Il Braccio Violento della Legge 2 e la popola con le amate sfide epiche e crudeli da samurai (vedi L’Ultima Sfida, La Quarta Guerra). I nuovi ronin, secondo la sceneggiatura di David Mamet (pseudonimo: Richard Weisz), sono ex-agenti segreti senza padrone dopo la caduta del muro di Berlino e hanno il volto e il fascino di pezzi da novanta come Robert De Niro e Jean Reno, capaci di donare spessore con un solo sguardo ai loro personaggi, necessario ad un’opera che procede a pieni cilindri dall’inizio alla fine. Come in La Vendetta dei 47 Ronin, si vendono ma fanno salvo l’onore, distinguendosi da antagonisti che “tradiscono” l’Amore, non danno valore all’amicizia, alla deontologia professionale, alla parola data. Mentre il mistero circonda una partita a poker dove ognuno gioca a non scoprirsi, il codice guerriero detta la regola che il passato non conta (come non conta conoscere il contenuto della valigetta). Frankenheimer ordisce la tensione in un esercizio d’attesa che fa esplodere in feroci duelli, con rincorse in auto da antologia, fra le più lunghe e appassionanti, girate fra le strette vie della vecchia Nizza, in un anfiteatro e lungo una tangenziale, collocando una cinepresa sul cofano per un punto di vista adrenalinico e ansiogeno del tragitto ad alta velocità, eliminando il commento sonoro a favore della presa diretta e dirigendo alla perfezione fino all’ultima comparsa. Non dimentica i tocchi di classe: nella scena dell’artista di pattinaggio sul ghiaccio (interpretata dalla campionessa Katharina Witt), la cinepresa ne segue la danza/stacco/un fucile con mirino esegue gli stessi movimenti mentre punta il bersaglio. Ma la vera fucilata che rompe il silenzio del palaghiaccio è quella del cinema nostalgico di Frankenheimer, ronin che, dopo anni di vagabondaggio senza meta, è tornato al cinema con onore.