
TRAMA
Anna è una ricca borghese che dirige, con la madre e il fratello, la fabbrica di famiglia. Mara è un’operaia della fabbrica, compagna di vita di Anna. Di ritorno da un viaggio in Africa le due donne scoprono di aver portato in Italia, nascosto nel bagagliaio dell’auto, Anis, un marocchino in fuga dalla sua terra. Anna si prodiga per aiutarlo.
RECENSIONI
Anis è ragazzo-uomo con valori radicati (dio, famiglia, onestà) che cerca di applicare al nuovo mondo col quale si confronta: l'agonia del padre di Mara può, ai suoi occhi, essere supportata dal conforto divino; la relazione tra le due donne che lo ospitano, per lui incomprensibile, può essere minata all'interno, seducendo Mara e offrendosi ad essa come marito; la sua sostanziale integrità è messa in crisi da un Occidente insicuro e guardingo, che sembra costringere anche coloro che vogliono mantenersi retti a una resa delinquenziale (il furto delle scarpe, la reazione disperata al licenziamento). E' Anna, naturalmente, il vero perno narrativo attorno al quale tutto ruota: dapprima pronta a aiutare il ragazzo, verso il quale dimostra un trasporto materno, ma altrettanto sollecita a liberarsene allorquando si rende conto che il tentativo di integrazione all'interno del suo sistema di vita sfugge al controllo e che la diversità si gioca su campi imprevisti: in questo senso Riparo (e il riparo è senz'altro lei, sia per Anis che per Mara - altro percorso di vita accidentato al quale la donna ha offerto sostegno -) è titolo azzeccato nella sua ambivalenza, non essendo privo di una certa ironia amara. Puccioni, al suo secondo film (il primo, Quello che cerchi, gli era valso il David come migliore regista esordiente) compone bene il suo mosaico, costruisce le sue immagini con evidente consapevolezza, presenta il nord est industriale (ricettivo sì, ma solo in modo unilateralmente opportunistico, delle realtà diverse - tutte - che lo incrociano) con rarefazione efficace, concentrando la messa in scena in pochi scelti ambienti, ma cade rovinosamente nella scrittura dei dialoghi (la grande falla del nostro cinema da decenni oramai), mal scritti e, seppur volonterosamente ripiegati su codici di conversazione quotidiana, vittime di formule stantie a tratti rabbrividenti. Li riscatta la meditata tessitura della trama, la persuasività del teorema, la misura dei toni, il piglio maturo nel tracciare un ritratto credibile composto di storie minime e momenti quotidiani (in questo senso anche l'uso iniziale del digitale rappresenta bene il punto di vista di uno dei personaggi), volendo passare sopra agli sparsi, sbilanciati estetismi e ad alcuni inciampi di sceneggiatura.
