Horror

RESIDENT EVIL: RETRIBUTION

NazioneGermania / USA
Anno Produzione2012
Durata117'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Musiche

TRAMA

Alice si risveglia in una struttura segreta della Umbrella Corp., una specie di enorme set video-cinematografico dove apprende un sacco di “verità” confuse ma probabilmente interessanti. Comunque, al netto di tutto, c’è da salvare il mondo.

RECENSIONI

Si vedono zombi che vanno in moto. E impennano. Cinematografati senza un briciolo di ironia, se non eterodiretta, discrezionale. Retribution è un ulteriore passo avanti in quella svolta semi-demenziale che ci era parso Afterlife. Ma qui siamo oltre e ci siamo con un’evidenza tale che sarebbe davvero difficile non scorgere un’intenzionalità progettuale. Paul W.S. Anderson, cioè, si allontana sempre più dal cinema e si avvicina sempre di più al gioco. O a qualcos’altro. Perché Resident Evil [i(l) gioco/chi] è/sono l’emblema della chincaglieria horror decontestualizzata e ricontestualizzata in un “fuori contesto” perenne, il regno della narrazione metaparodica, l’emblema di quanto i videogiochi sanno essere artificiosi e assurdi, schiavi volontari di regole illogiche e di meccanismi autosufficienti privi di qualunque appiglio al realismo. La saga di Anderson è diventata esattamente questo: un universo riconoscibile e sempre più coraggioso, nel suo perdere consistenza materica, nel suo allontanarsi dal buon senso, nel suo sfidare il “gusto comune” dello spettatore da multisala.

Per chi è pensato Resident Evil: Retribution? Apparentemente, per qualche recensore appassionato di videogiochi che si mette a blaterare di progettualità metaparodica di stampo concettuale – oppure - per i fanboy della saga Capcom, legati a “quel tipo” di cosmologia diegetica e poco interessati al “film” in quanto tale. Restano probabilmente esclusi gli spettatori, diciamo, medi (in senso buono), che vanno al cinema aspettandosi cinema. Perché Retribution sembra sempre più disposto a sacrificare il suo status di “Film” in nome della sua aderenza metatestuale alla fonte. Un’aderenza, diremmo, totale e generalizzata.  L’incipit è presunto-cool (la  sequenza in reverse), doppio dei trailer videogiocosi più (Dead Island, anch’esso in reverse) o meno recenti (il primo Gears of War, con la Mad World di Gary Jules), giocati sull’arty-tudine da asporto. Il prosieguo è l’omaggio alla fonte della fonte (lo zombi movie classico, con ambientazione urbana, l’epidemia globale ecc) e il resto è puro nonsense RE style, da tutti i punti di vista, con dichiarazione d’intenti e di poetica incorporata/e. La storia è complicata quanto demente e i cambi di location sono meta-finzionali (i mega-set-test-sperimentali della Umbrella), dunque evidentemente gratuiti, dunque doppi perfetti degli omologhi passaggi da ambientazione ad ambientazione dei vari capitoli della saga che hanno flebili quando non assenti giustificazioni narrative e servono solo per fornire un po’ di varietà al gameplay e all’esperienza ludica in generale. Per il resto, registicamente siamo ancora(ti) al freeze frame multiangolo e al bullet time (sembra impossibile, nel 2012, però è così) ma - ancora - non si fa che riprodurre quello sclerotizzato concetto di spettacolarità che i videogiochi continuano a riservare agli intermezzi non giocabili o ai già inflazionati quick time event, che hanno abbondantemente rotto e ora, insomma, anche basta (cfr. RE6). Ha senso tutto ciò? Al netto delle pippe metaestetiche, nì. Nel senso che la strada è quella intrapresa con Afterlife, che però funzionava decisamente meglio anche come giocattolone multistandard. Retribution è, a suo modo, ancora più estremo, quasi oltre, si diceva in apertura, vicino a un’ipotesi – probabilmente fallita – di postcinema intermediale. Ma sempre meno fruibile e sempre meno “divertente”.