Bellico, Drammatico

REDACTED

Titolo OriginaleRedacted
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Durata90'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Alcuni militari statunitensi di stanza presso un checkpoint in Iraq violentano una ragazza locale, la uccidono e ne sterminano la famiglia. Il fatto di cronaca, viene mostrato cercando un equilibrio tra le esperienze di questi giovani sotto tensione, quelle degli esponenti dei mezzi d’informazione e quelle della popolazione autoctona irachena.

RECENSIONI

Dopo avere ormai definitivamente sdoganato la tragedia dell'11 settembre (i film in merito pullulano) è la volta della guerra in Iraq. Il cinema comincia infatti a riflettere (in origine fu il poco riuscito Jarhead di Sam Mendes) sulla bruciante attualità di un conflitto che si sta sempre più configurando come il nuovo Vietnam. Ma più delle atrocità messe in scena e indagate, più delle devastanti e devastate psicologie scandagliate e del terribile fatto di cronaca alla base del soggetto (nel marzo 2006 in un villaggio vicino alla città di Mamhudiya cinque militari americani hanno abusato ripetutamente di una ragazzina di 15 anni per poi bruciarla e uccidere i suoi familiari), ciò che colpisce è l'utilizzo che Brian De Palma fa del mezzo cinematografico. La domanda, che si insinua con sempre maggiore insistenza, è infatti: ma ciò che sto vedendo è reale o finto? Se la risposta è chiara nei momenti di palese fiction, in cui è evidente che ci si trova davanti ad attori che stanno interpretando un ruolo, lo è molto meno nelle riprese d'insieme, negli estratti da internet, nel documentario francese che interrompe più volte la narrazione, negli spezzoni da "Youtube", dai blog, dai notiziari e telegiornali. L'idea di una commistione tra documenti reali e ricostruzioni soggettive (la più aberrante è quella che digitalizza sopra alla testa di un reale militare decapitato il volto di uno degli attori) non è priva di fascino ed è ben condotta dal talentuoso regista americano, ma non si capisce perché ammantare volontariamente il risultato finale di ambiguità. La scelta di effettuare una sorta di diario di guerra alla Blair Witch Project diventa infatti moralmente discutibile. Una regia tradizionale avrebbe forse ammorbidito l'impatto della vicenda? Non è che la guerra diventa lo spunto per interrogarsi sui limiti dei mezzi utilizzati? Se cosi è, non è difficilmente condivisibile una manipolazione di una realtà così agghiacciante? Non è di dubbio gusto la strumentalizzazione del dolore e della sofferenza altrui, anche se finalizzata a scuotere le coscienze? Perché, poi, concludere la docu-fiction con fotografie, quelle sicuramente reali perché annunciate da una didascalia esplicativa, di sconvolgente drammaticità sulle note trascinanti della "Tosca" di Puccini? Non è un po' ricattatorio? Se quindi da un lato si apprezza la capacità di De Palma di costruire i tasselli mancanti di un fatto di cronaca con la consueta perizia tecnica, dall'altro si riscontra una mistificazione della realtà che disorienta senza nutrire appieno (lo sguardo, la gravità dei fatti raccontati e la forza della denuncia). De Palma finisce infatti per utilizzare gli stessi mezzi che condanna operando una sofisticata quanto perniciosa contro "redaction". Il termine inglese si riferisce all'atto di preparare un testo per la pubblicazione in cui vengono cancellate o oscurate le informazioni sensibili, cioè quelle personali o impugnabili.

Redacted è un film sulla verità, la verità dell’immagine, nell’immagine e dietro l’immagine video-cinematografica. E’ una riflessione centrale nel cinema di De Palma, che emerge cristallizzata ed esemplificata in opere chiave come Obsession, Blow Out o Snake Eyes, dove il regista costruisce tutto il film intorno a una sequenza “originaria”. Tale sequenza nasconde sempre una verità ulteriore rispetto a quella apparente: ci sarà bisogno di un lavoro di decifrazione, analisi, smontaggio e rimontaggio per costringere l’immagine a rivelare, blowup-ianamente, metacinematograficamente, il suo mistero. Ebbene: quanta verità è nascosta nelle/dietro le immagini di Redacted? La domanda diretta allo spettatore, però, stavolta non nasce dalla costruzione mystery-thriller del film ma dalla sua pseudo-documentarietà enunciata nei titoli di testa. Appurato che “i fatti” sono “veri”, la domanda che ronza per tutti i novanta minuti di film è: sarà andata proprio così? – meglio - in che misura il verismo (ri)costruito da De Palma è sovrapponibile al vero? Il paradosso è che questo presupposto fondante del film, le sue radici, per così dire, documentali, sono insieme la sua ragione d’essere (e di funzionare) e il suo fardello. La componente ludico-teorica è chiara fin da subito e il breve piano-sequenza che apre il film è già un piccolo puzzle: il movimento di macchina “a scendere” dal cielo, fermissimo, classicamente cinematografico, si accompagna alla data sovrimpressa tipicamente handycam (4-9-2006), seguita invece da un titolo dalla veste grafica semiprofessionale (titolo già programmatico: Tell me no lies, sottotitolo: “a war diary by pfc. Angel Salazar”) con la colloquiale voce off del soldato che si dichiara autore della ripresa stessa e con la seguente carrellata ottica dal sapore amatoriale che si chiude con uno sguardo in macchina collettivo e il fermo immagine di un’istantanea. Uno stacco di montaggio piuttosto brusco ci mostra il soldato semplice Salazar che si auto-inquadra [la voce, stavolta “in”, è sempre la stessa e ci conferma che era lui a riprendere, e il suo parlare prosegue semplicemente il discorso ignorando l’ellissi di 24 ore (la data è ora 4-10-2006) e lo stacco che separano invece le due sequenze] e che insieme inquadra, nello stesso specchio, un altro soldato che “si” e “lo” inquadra a sua volta. Ancora: dal dialogo tra i due emerge che il loro riprendersi vicendevolmente renderebbe il risultato più “sexy” (sic)… quando si dice la “seduzione” teorica. Come se non bastasse, la sequenza immediatamente successiva introduce un classico film-nel-film, con tanto di nuovi titoli di testa (BARRAGE), firma autoriale (un film de Franc et François Clément) e voce narrante in francese (ma solo nella versione originale: il doppiaggio nostrano, tanto per non smentirsi mai, banalizza/travisa e doppia in italiano come tutto il resto). Chiusa la parentesi didascalicamente meta-, tanto per ribadire il concetto abbiamo subito una sequenza in cui Salazar (che nel frattempo abbiamo appreso essere un aspirante regista…) intervista un soldato in branda, preso dalla lettura di un libro, e la parte centrale del loro dialogo suona così: “this camera never lies!” – “dude, that is bullshit, that’s all the camera ever does”. E così via. Se a tutto questo si somma l’autoreferenzialità della “trama” (Redacted è, a conti fatti, un quasi-remake di Vittime di guerra) si ottiene un’opera depalmiana (ludicamente, teoricamente depalmiana) fino al midollo. Ma si parlava del fardello. Perché questo altrimenti riuscito blob di handycam, youtube, documentario e reportage è inevitabilmente appesantito dal “messaggio” del film, a sua volta pesantemente ancorato, lo ribadiamo, al fatto vero che sottende il tutto. Questa componente squisitamente contenutistica del film, non solo tende a banalizzarlo e ad inserirlo nello stantio filone del “film di denuncia” ma rischia di diventare ammorbante nel momento in cui scade nel ricattatorio (una quindicenne brutalmente stuprata, poi uccisa e infine bruciata non lascia troppe vie di scampo allo spettatore) e del tutto inefficace anche dalla prospettiva di “film impegnato contro la guerra in Iraq” (due soldati dementi che perdono la testa e commettono una nefandezza indicibile non mi dicono poi molto sulla politica estera americana). Si può forse ipotizzare un (involontario? “Inconscio”?) cinismo di De Palma, che potrebbe aver piegato “la storia realmente accaduta” alla sua idea di cinema e al suo continuo riflettere sul dispositivo, o si può, credo più realisticamente, parlare di un’operazione riuscita a metà, con due facce della stessa medaglia che si stringono una mano mentre fanno a cazzotti con l’altra.