TRAMA
La squadra speciale RED ZONE deve proteggere un informatore a conoscenza di segreti che potrebbero sventare attacchi terroristici di portata mondiale. L’unità segreta guidata da James Silva e dalla sua luogotenente Alice Kerr dovrà scortare l’informatore per 22 miglia in una corsa contro il tempo per portarlo fuori dal paese. Durante il viaggio dovranno scontrarsi contro squadre d’assalto e nemici armati pronti a tutto.
RECENSIONI
Alla quarta collaborazione il regista Peter Berg e l’attore Mark Wahlberg abbandonano storie vere ed eroi virtuosi per inseguire il lato oscuro del dietro le quinte. Cosa cela il nostro “rassicurante” quotidiano? Mentre noi, ignari, continuiamo la nostra vita, super agenti speciali rinunciano alla loro per proteggerci e impedire attentati di ogni provenienza e tipologia. Tutto molto edificante, patriottico e figlio di un immaginario che fa della paura la più potente arma di controllo delle masse. Una volta accettato e digerito l’assunto il film, pur scontando fior di predecessori (a partire dalle serie tv, 24 in primis), offre qualche variazione sul tema; anche in questo caso nulla di rivoluzionario. Prima di tutto l’eroe non è eroe, ma persona fragile e caratteriale (torna alla mente la bipolare Carrie di Homeland), nello specifico un uomo con doti intellettive superiori alla media ma con grandi problemi di gestione della rabbia che controlla procurandosi costantemente dolore (quell’elastico con cui si picchietta il polso), uno dei pochi stimoli, insieme alle informazioni operative, in grado di distoglierlo da se stesso. Un personaggio senza scrupoli, logorroico e poco simpatico che guida un gruppo di colleghi, tutti votati alla causa più elevata a cui sono chiamati. L’unico altro elemento del team su cui lo script si sofferma è la vice Alice Kerr, stressatissima per l’impossibilità di conciliare il lavoro con una figlia che sta crescendo senza di lei. A svettare è però l’enigmatico doppiogiochista orientale, e fulcro della vicenda, Li Noor (interpretato dalla star indonesiana Iko Uwais campione di arti marziali e già protagonista dei due film della serie The Raid), il solo a conoscere dove è stato nascosto il temibile cesio, una sostanza tossica e letale che sparsa anche in piccole quantità potrebbe avere conseguenze devastanti. In cambio della preziosa informazione l’uomo chiede l’estradizione negli U.S.A. e i servizi segreti hanno il compito di scortarlo all’aeroporto percorrendo 22 lunghissime miglia tra le strade di una trafficata città del sud-est asiatico. Ovviamente sono in molti a volere l’informatore morto e giungere illesi a destinazione non sarà facile.
Il film procede per accenni, nulla è mai del tutto a fuoco, nel rapporto tra i personaggi come nei dettagli della missione, tanto che c’è bisogno di un grillo parlante, il misterioso Alfiere interpretato da John Malkovich che guida il commando tattico a distanza, per poter capire cosa sta succedendo. La regia di Berg si adatta alle nevrosi del racconto, per cui l’azione è stilizzata, il montaggio frenetico, la macchina da presa spesso a mano, convulsa e ai limiti della intelligibilità, e la violenza esasperata ma più percepita che esibita. Il risultato è un action risaputo ma essenziale e solido, soprattutto per la capacità di Berg di tenere sotto controllo le tante sollecitazioni visive e di giocare abilmente con gli spazi, dalla vastità dei cieli da cui tutto si controlla alla claustrofobia di un enorme e suggestivo condominio popolato solo da bambini. Più debole, perché risicato, il tentativo di dare profondità ai personaggi, anche se il loro blackout emotivo non lascia indifferenti. Evidente il disegno, nel connotare a oriente personaggi e ambientazione, di facilitare un successo geograficamente il più vasto possibile. Saranno come sempre i numeri a decidere se il sequel, già preventivato, si farà e se, come da intenzioni, si creerà un franchise su varie piattaforme tra cinema, televisione e realtà virtuale. L’andamento, per ora sottotono, potrebbe indurre a un cambio di programma.