
TRAMA
Mei Lee è una ragazzina sino-canadese di tredici anni che vive a Toronto. Una mattina scopre di avere un’abilità alquanto singolare: trasformarsi in un enorme panda rosso qualora non riesca a controllare emozioni forti.
RECENSIONI
Red (Turning Red nel più evocativo e accattivante titolo originale) rappresenta la quintessenza della nuova Pixar post-Lasseter (abituiamoci ormai a chiamarla era Docter), quella “nouvelle vague” di giovani artisti cresciuti all’interno dello studio, che portano loro stessi e il proprio vissuto al centro del film, conferendogli, su tutti i livelli, una caratura più che mai autoriale. Se Dan Scanlon in Onward ha affrontato la sua tragedia famigliare ed Enrico Casarosa in Luca ha ricordato le proprie estati d’infanzia, Domee Shi con Red racconta la sua adolescenza di teen-ager sino-canadese alle porte del nuovo millennio. E col regista italiano Domee Shi ha in comune una carriera quasi identica: dagli inizi in Pixar come storyboard artist, all’esordio registico con un cortometraggio (Bao), fino a un lungometraggio che la vede protagonista tramite un alter-ego, Mei Lee. Il medium animato (di fattura come sempre eccezionale) fa il resto, elevando la vicenda autobiografica a fantasy scatenato dove magia, humor e un pizzico di follia creano una visione inedita e coraggiosa che, al di là del racconto, affronta tabù e tematiche delicate quali le metamorfosi alle quali ogni adolescente va incontro.
La regista non si limita a riempire il film di ricordi (la scuola, la famiglia, le amicizie, l'amore per le boy band, i ragazzi fighi e i tamagotchi) ma dà loro forma tramite uno stile grafico - piuttosto inedito nella CG - e uno storytelling che richiamano e omaggiano i manga e gli anime giapponesi della sua adolescenza (ci sono Miyazaki, Ranma ½, Sailor Moon), sulla stessa scia (qui portata all’estremo) di Casarosa in Luca; basti guardare le espressioni a tratti talmente esagerate da risultare off-model (occhioni luccicanti, bocche sgraziate etc…). Se il risultato funziona è solo grazie all’enorme maestria nel saper bilanciare e miscelare ogni elemento con la giusta dose di audacia e consapevolezza, tattica in cui il buon cinema americano, Disney in primis, eccelle.
Tutto comincia con Bao, il corto del 2018 che valse a Domee Shi un Oscar, in cui una frustrata donna cino-canadese cresce come fosse suo figlio un baozi che misteriosamente ha preso vita. A causa della sua ansia e iper-protettività arriverà a scontrarsi con lui così come, nel finale di Red, Ming Lee, trasformatasi in un enorme panda-zilla, combatte con sua figlia Mei Lee, ormai ribelle e desiderosa di vivere una vita lontano dal controllo materno, senza che questo voglia dire abbandonare la propria famiglia e le proprie radici che, alla fine, verranno totalmente abbracciate. Anche in Ribelle (2012) la metamorfosi (che in Red si carica di ulteriori significati simbolici) scioglieva il conflitto tra una madre e sua figlia in un racconto molto personale scritto a una figlia da sua madre (Brenda Chapman, anche regista) ostracizzata, secondo i report, da Lasseter, che l’affiancò a un co-regista intaccandone profondamente quella visione autoriale che la nuova Pixar cerca oggi di incoraggiare. Rosso è il malpelo di Mei Lee e di Merida, come lo è di Ariel, la principessa al tempo criticatissima per aver disobbedito al padre, rea di voler inseguire il suo impossibile sogno d’amore. E di rosso è intriso tutto il film, dal titolo, al panda, alla “peonia che sboccia”, alla bandiera cinese; rossi sono la rabbia, il desiderio, l’imbarazzo che accompagna l’adolescenza. La scelta del panda rosso cinese sembra essere tanto geniale quanto scontata: buffo e feroce (è pur sempre un animale) rappresenta la stramberia, la goffagine, la libertà, ma anche l’istinto selvaggio, la fine dell’innocenza; il passaggio consapevole e sano all’età adulta consiste nel controllare il panda senza reprimerlo.
Sempre più frequentemente le mamme - ora più che mai al centro delle produzioni Disney-Pixar (Soul, Onward, Luca) - sono affiancate a loro volta dalle loro madri, quelle nonne spesso benevoli (Oceania, Luca) altre volte autoritarie (Coco, Encanto) che formalizzano e allineano una tradizione e una cultura fondamentalmente matriarcale lungo un rappresentativo asse nonna-madre-nipote. E non è un caso che queste storie siano raccontate in contesti soprattutto locali e/o tribali, forse perché più legati al matriarcato, lontani dallo spettatore occidentale che si avvicina ad essi attraverso quell’elemento che accomuna tutti gli esseri viventi - il nutrimento - pur essendo sempre diverso e variegato (La Principessa e il Ranocchio, Bao, Luca, Raya e L'Ultimo Drago, Encanto). Red è un film sinceramente femminista fatto da donne (che per la prima volta ricoprono tutte le key positions artistiche e produttive), che parla del diventare donna grazie ad altre donne: la “maledizione” si trasmette di madre in figlia e l’happy ending avviene grazie alle migliori amiche e a un esercito di zie, non senza aver risolto il conflitto generazionale originario: per comprendere le loro figlie le madri si riscoprono figlie a loro volta. Persino la Marvel ne ha replicato la formula nell’ultima e riuscita serie per Disney+, Ms Marvel. I padri sono quindi relegati a figure secondarie, importanti ma pur sempre di contorno; i nonni per ora sono i grandi assenti. Strange World, prossimo film Disney in uscita, potrebbe ribaltare il trend con un’inedita triade nonno-padre-nipote (in realtà Casarosa aveva anticipato un pò i tempi col suo corto La Luna…).
