Drammatico, Recensione

RACHEL

Titolo OriginaleMy cousin Rachel
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2017
Durata106'
Sceneggiatura
Tratto daMia cugina Rachele di Daphne du Maurier
Fotografia
Musiche

TRAMA

Philip è stato allevato dall’amato cugino Ambrose che, all’improvviso, si sposa all’estero e, poco dopo, muore. I sospetti del ragazzo cadono sulla vedova, la misteriosa Rachel.

RECENSIONI

IL SEGRETO DI UNA DONNA

Daphne du Maurier, autrice del romanzo del 1951 da cui il film è tratto, nelle sue opere letterarie ha sempre giocato col tema dell’ambiguità.
Rebecca, la prima moglie del romanzo omonimo, era una donna straordinaria ed indimenticabile, oppure un demonio. Il capro espiatorio mette in scena addirittura due diversi uomini per un’unica identità, uomini opposti, con lo stesso aspetto e nello stesso ruolo. Non è certo casuale che Alfred Hitchcock traesse film dalle sue opere (La taverna della Giamaica, ma soprattutto Rebecca e Gli uccelli). Mia cugina Rachele era già stato trasposto al cinema negli anni Cinquanta; una rivisitazione pedissequa con Olivia de Havilland ad interpretare la fatale protagonista. Ora il compito è affidato al regista di Notting Hill, Roger Michell, che ha più dimestichezza con le commedie, ma ha già diretto pellicole tratte da romanzi inglesi (da Jane Austen, Ian McEwan). La storia in questione è dunque interamente giocata sull’ambiguità e sul dubbio, sull’impossibilità di arrivare alla verità - sul passato, sui fatti, sulla natura della protagonista. “Lei era colpevole? Lei era innocente?”. Questa la frase d’esordio e di chiusura. Il film è stato girato tra l’Inghilterra e l’Italia, mettendo in evidenza la diversità di cultura ed atmosfera. Ben presto, però, il dramma ripiega sui paesaggi della Cornovaglia, più crepuscolari, dove le onde violente contro le scogliere a precipizio evocano la violenza improvvisa della passione ed i suoi rischi. Si adotta la prospettiva del giovane protagonista/narratore, assegnando così allo spettatore la medesima ignoranza sulla verità ed i medesimi sospetti. La storia gioca sul contrasto fra le due personalità al centro dell’intreccio: il ragazzo e la donna con un passato. Orfano, cresciuto in campagna, all’inizio Philip ha un unico affetto e si infiamma di gelosia per l’uomo che lo ha allevato, Ambrose, allontanato ed irretito dalla nuova moglie. Lo si vede vivere ogni sentimento con impulsività, senza la mediazione del ragionamento, seguendo nel bene come nel male il primo istinto. Il giovane è inesperto e sprovveduto, non ha mai visto una donna piangere, semplicemente “non sa niente delle donne”. Al contrario di Rachel, che ha vissuto, ha conosciuto altre vite e paesi, uomini e dolori. Rachel viene descritta come una donna che fatalmente affascina da subito chiunque la circondi, persino i cani. Già al primo incontro con lei, i dubbi e la rabbia di Philip sfumano all’istante, per trasformarsi in incanto quando la donna dimostra di aver fatto proprio l’amore di Ambrose per i luoghi natii. Cinematograficamente, il passaggio risulta troppo rapido e poco giustificato dai fatti, ma coerente con l’immagine di Rachel, con il potere che essa esercita naturalmente sugli altri.
Su queste basi il film si sviluppa come un thriller nel quale il dubbio genera la suspense ed il trasporto sentimentale del protagonista la accresce. La sceneggiatura accende e spegne la miccia con programmatica alternanza, in una successione di ritrovamenti di prove e controprove che si smentiscono a vicenda: le accuse di Ambrose, ritrovate nei suoi scritti, sono conseguenza della malattia mentale che lo stava conducendo alla morte? Le scene dal significato incerto rubate nell’ombra dopo veri appostamenti sono rivelazioni? Deliri? Ossessione della gelosia? Le rivelazioni sul passato della donna sembrano dire qualcosa, ampliando però il raggio di quel che resta sconosciuto, per l’innamorato come per il pubblico. I suoi sentimenti restano sempre un mistero, essa assurge a sfinge. L’altro grande fattore in gioco è il denaro. La questione del denaro è sempre centrale nella narrazione, tutto ruota intorno all’eredità, la donazione, le spese eccessive ed inspiegabili, le implicazioni economiche che un nuovo matrimonio comporterebbe. Intorno a questi interessi il comportamento della protagonista genera sospetti continui - corre dall’avvocato, come prima cosa, subito dopo la notte, trascorsa insieme, in cui il giovane le dona ogni cosa; si concede, imperscrutabilmente, ed altrettanto imperscrutabilmente si nega appena divenuta ricca. Il più meschino degli interessi si mescola agli slanci sentimentali in un (apparente) ulteriore contrasto destabilizzante.
In questa atmosfera, il film vive di simboli - la collana, che sancisce l’amore, il sospetto, la rottura; la tisana, gli incubi, il passaggio alla maggiore età, con tutta l’euforia che per il ragazzo celebra l’innamoramento e sancisce la libertà, l’autonomia, la possibilità di scelta - quindi, di amare, donando/comprando l’oggetto del desiderio (ancora il denaro come fulcro delle dinamiche). Il sospetto che Rachel metta del veleno nelle tisane che si ostina a preparare - prima ad Ambrose, poi a Philip -, costituisce un elemento di suspense puramente hitchcockiana, che rimanda a Il sospetto e Notorious (non al recente Il filo nascosto, dove riveste un altro significato). Quel che appare come una premura - la bevanda che scalda e corrobora, come il bicchiere di latte prima di dormire portato da Cary Grant alla moglie - potrebbe essere invece veicolo di morte, follia, malattia: un contrasto che ben alimenta inquietudine e mistero. Si potrebbe anche definire Rachel (Mia cugina Rachele) come la storia di una profonda ossessione. Anche quando, nel finale, Philip ha ormai ripiegato su una vita famigliare tranquilla, probabilmente noiosa (così aveva definito la famiglia di colei che ha poi scelto come moglie), i suoi pensieri tornano a lei: “Rachel, il mio tormento”. La tensione verso la scoperta della verità non si smorza ed il film mantiene viva la curiosità, che però si esaurisce negli stimoli “primari” innescati dal meccanismo della storia. Proprio per questo chi già conosce l’epilogo finisce per annoiarsi, prova di una messa in scena senza grandi idee né invenzioni rispetto alla materia letteraria. Rachel Weisz sembra nata per i ruoli in costume ed è sempre intensa; induce tuttavia a propendere troppo marcatamente per la sua innocenza.