TRAMA
Un ex calciatore professionista, nonché padre problematico, cerca di rimettere in piedi la sua vita. Per riavvicinarsi al figlio decide di allenare la squadra di calcio del bambino, destando le attenzioni delle mamme.
RECENSIONI
Stroncare più o meno cordialmente chi ha successo è pratica diffusa. Se il successo è eclatante, alla stroncatura si somma lo sberleffo. È dai tempi de L'ultimo bacio che Gabriele Muccino raccoglie il sostegno del pubblico, la sufficienza di gran parte della critica e l'indignazione di altri (il popolo della rete in primis). Cercando di distaccarsi da schemi precostituiti, sempre fuorvianti nell'interpretare un'opera cinematografica, e attenendosi a quel che offre lo schermo, il terzo film americano del nostro regista più esportabile sembra una versione anestetizzata di Baciami ancora. Il che non sarebbe neanche un male, con un'analisi meno urlata di un uomo alla ricerca di se stesso, in fuga dalle responsabilità, nel tentativo di riconquistare il grande amore della sua vita, la madre del figlio con cui cerca di ristabilire un rapporto dopo anni di latitanza genitoriale.
I propositi dramedy, però, si arenano in un nulla di fatto, perché la commedia non decolla mai e il dramma non ferisce, pone domande ma ha già annesse le risposte. L'inno all'unione familiare trova come contesto la vita di provincia americana, da quel che cinema, letteratura e cronaca da sempre ci palesano, quanto mai povera di stimoli, ma la sceneggiatura di Robbie Fox resta in superficie. Si limita infatti a mostrare, con un'ombra di misoginia, donne annoiate, noiose, nevrotiche e assatanate e uomini che si barcamenano nel grigio sfogando la loro frustrazione nel sesso, a cui non sanno resistere, e nell'ostentazione del benessere. E nonostante nelle conclusioni i sentimenti abbiano il sopravvento, guidare una Ferrari si conferma il sogno di una vita.
Nel percorso a ostacoli verso il lieto fine c’è spazio anche per qualche scampolo di american dream. Del resto sei nel paese delle opportunità, se vali qualcosa non ti resta che dimostrarlo per raccoglierne i frutti, che di certo arriveranno, e infatti il protagonista si trova addirittura a dover rinunciare al lavoro che cercava, e che gli è piovuto dal cielo, ma un’alternativa, se hai talento, e lui ovviamente ce l’ha, è sempre possibile. Ancora più deboli le microstorie di amori e tradimenti con cui si cerca di rimpolpare il plot e che trovano vetrina comune nel teatrino delle partite settimanali di calcio dei figli, a cui i genitori assistono come se fosse la serata degli Oscar. Da riconosciuto ottimo direttori degli attori, Muccino si destreggia con il cast altisonante, sia i solidi comprimari (diciamolo, la triade Quaid/Thurman/Zeta-Jones è un po’ da “sagra del bollito”) che, soprattutto, i due protagonisti, in cui si distingue una Jessica Biel volutamente sottotono.
Quanto al protagonista e co-produttore Gerard Butler, è sicuramente meglio del suo personaggio, che si aggira piacione con finta noncuranza, e senza mai un’ombra che resti tale, turbando l’equilibrio precario dell’ennesima provincia infelice. Ma una puntata qualsiasi di “Desperate Housewives” ha molta più verve e insinua più dubbi. Qui ci si limita a ricalcare con diligenza un genere, la commedia romantica made in U.S.A., smussando gli angoli a favore di un’unione familiare assai fragile, ma evidentemente necessaria per rassicurare il pubblico e vendere un prodotto che nelle intenzioni faccia sognare. Tanto a nessuno verrà la voglia di scoprire se i due protagonisti vivranno davvero per sempre felici e contenti.