Azione, Commedia, Recensione

PROVA A PRENDERMI

Titolo OriginaleCatch me if you can
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2002
Durata140'
Sceneggiatura
Tratto dadal libro di Frank W. Abagnale e Stan Redding
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Frank W. Abagnale, giovanissimo truffatore, è stato insegnante di francese, medico, avvocato, pilota di linea, assistente del procuratore generale… Con abilità e astuzia ha accumulato una fortuna: sei milioni di dollari. Tutto questo in un solo anno di vita e prima del suo diciottesimo compleanno. Sulle sue tracce il solitario Carl Hanratty.

RECENSIONI

Basato sull'autobiografia del vero Abagnale, prima truffatore, poi preziosissimo collaboratore dell'FBI, la commedia triste di Spielberg può apparire una vacanza, anche se intelligente, per il regista di "A.I" e "Minority Report". Molti elementi ci indurrebbero a pensarlo: una sceneggiatura pronta da anni passata di mano in mano; il tocco apparentemente lieve e scanzonato; qualche facile battuta. Ma sullo sfondo di quella che sembrerebbe l'ennesima caccia spielberghiana (topo: Di Caprio; gatto: Tom Hanks) c'è un mondo al tramonto: i dorati anni '60, già perturbati dall'assassinio di Kennedy, già violentati dalle prime sanguinose battaglie imperialiste in Vietnam, già soverchiati dal potere del dollaro, già tinteggiati dall'abbagliante colore della menzogna. "La gente crede in quello che gli racconti" dice l'ingenuo ma non troppo Frank, figlio di un reduce abbandonato dalla patria dei sogni fasulli e di una donna nata in una Francia poco "douce". L'imberbe scavezzacollo accumula denaro indossando mille maschere, imprigionando il proprio essere non coltivato in abiti "che fanno il monaco", traendo l'estrema linfa dal defunto o mai esistito "american way of life". Con essi cerca di "essere" ciò che il padre non è stato e cerca di vendicare il declino del "pater familias", umiliato dalle banche sempre più grandi di un mercato finanziario sempre più vicino all'oligopolio ("Sono le banche come la vostra a far chiudere quelle piccole" dice Abagnale senior). Frank cavalca il sogno americano in groppa ad un Pegaso verde come il dollaro e dalle ali di cera come quelle di Icaro. Riesce a farla franca gabbando un mesto agente FBI, incapace di accettare la solitudine del divorziato. Si costruisce così un mondo di cartapesta profittando di un sistema ancora fallibile ma già in grado di uccidere i desideri di grandezza di tristi americani poco tranquilli. Echelon era ancora di là da venire e il sistema era ancora malleabile e manipolabile (purtroppo le menti continuano ad esserlo perché, ancor oggi, in Usa come in Italia, molti credono ingenuamente alle menzogne raccontate da Abagnali al cubo in doppio petto.). Il continuo indossare e cambiare identità/vesti gli impedisce di coltivare il proprio "ego", bloccato allo stadio adolescenziale da una lacerante ed impossibile scelta (della madre o del padre, al momento del divorzio) che lo spinge ad una prima e decisiva fuga, che è poi una fuga da se stesso e dalle responsabilità. Una decisione che poi rimpiangerà quando, ormai prossimo alla cattura, osserverà dalla finestra la madre ormai irriconoscibile e una nuova famiglia che non potrà accoglierlo. La fuga e la menzogna si riveleranno armi a doppio taglio. Spielberg, servito da una sceneggiatura buona ma non impeccabile (molte sequenze sono più funzionali alla Storia che alla storia) recupera la frammentazione narrativa di "Incontri ravvicinati del terzo tipo" giocando con i vari livelli temporali ed imbrogliando le carte, esattamente come fecero, in passato, altri registi di biografie su personaggi "polimorfi" (dal sommo "Citizen Kane" fino al più recente e notevole "Man on the moon"). La sapienza registica si rivela appieno in molte sequenze intense, girate e montate da dio: il primo incontro tra Abagnale e l'agente; il momento fatale della fuga dal pesante fardello della scelta del genitore per l'affidamento; il triste addio, all'aeroporto, alla ragazza "dal bel sorriso" e, sempre all'aeroporto, l'ultima fuga in Europa di Frank, scortato da avvenenti hostess in cerca di gloria e facili guadagni. Lo sguardo inquieto e poi rassegnato, benevolo e subdolo allo stesso tempo, di Chistopher Walken è lo stesso con cui il regista osserva ammirato i colori sgargianti dei "sixties", descrive l'ingenuità e l'innocenza forse solo apparenti dell'epoca, mostra la fragilità di un mondo con cui era ancora possibile "giocare", al di fuori dalla legge e dalla logica stridente, e tutt'altro che morale, del "business" e della moderna psicosi del successo ad ogni costo. Con nostalgia e rimpianto, Spielberg fugge nuovamente dal presente, rifugiandosi in un passato "caldo" speculare al futuro gelido di "Minority Report". Il suo cinema è meno ottimista di quanto alcuni critici e lo stesso Spielberg dicano e la sua commedia più che far ridere intristisce. A quando una separazione netta tra Autore e Opera, separazione che forse farebbe cadere molti pregiudizi e molte riserve?
Tematicamente affine ad altri film dell'autore, la commedia pone al centro il dramma della separazione, della solitudine e della distruzione del nucleo familiare. Uno Spielberg a tutti gli effetti dunque, nonostante questo sia un lavoro su commissione (del resto la maggior parte dei suoi film lo sono...).
Ottimo il cast: Leonardo Di Caprio ci regala la sua migliore interpretazione dai tempi di "Buon compleanno Mr. Grape"; Tom Hanks è tragicomico; Chistopher Walken illumina lo schermo ogni volta cha appare. I bellissimi titoli di testa, i primi in tutto il cinema di Spielberg, simulano le atmosfere e i colori del tempo e sono un palese omaggio al cinema di quegli anni, in particolare agli indimenticabili titoli di testa "a tema" delle commedie di Blake Edwards (e nella colonna sonora John Williams "cita", con "piccole frasi" memorabili, il Mancini leggero, dopo il "Moon River" di "Minority Report"). Uno Spielberg minore, con classe.

Questo piccolo film[1] di Spielberg è il miglior Spielberg dai tempi di Jurassic Park[2], la qual cosa non lo rende ipso facto un 'bel film'. E' il migliore perché da quel dì il Nostro ha rinunciato all'entertainment fine a se stesso[3] per convincere il mondo di avere qualcosa da dirgli (ergo: si è artisticamente suicidato); non è un bel film perché Catch me if you can, benché privo degli odiosi didascaleggiamenti di un Amistad o di un Soldato Ryan, è viziato da un difetto di fondo che ne mina la struttura portante: la presunta, ma non desunta, vero-simiglianza. Se da un lato lo statuto di 'personaggio storico' di Mr. Abagnale è sbandierato ai quattro venti, dall’altro la sceneggiatura non fa davvero nulla per suffragare questo presupposto. Confesso la mia pregiudiziale insofferenza per le 'storie vere' raccontate sul grande schermo, diffusa pratica che fa a pugni con la mia idea di Cinema, ma se proprio devo ancorare i fotogrammi alla realtà, gradirei essere messo nelle condizioni di poterlo fare... è inutile elencare i singoli episodi: Catch me if you can è letteralmente 'incredibile' (dunque, nella fattispecie, fastidioso) dall'inizio alla fine, e inanella una serie di forzature e di inverosimiglianze che sarebbero, magari, appena passabili in una qualunque commedia brillante inventata di sana pianta, ma che di certo sospendono la 'credulità' imposta dalla prima didascalia del film. E' altresì innegabile che questo 'schizofrenia' doti la pellicola di un certo ambiguo fascino che è facile scambiare per il frutto di una precisa scelta artistica, ma rimango dell'opinione che non di scelta si tratti ma di fortunato, fallito compromesso tra il 'vero' e lo 'smerciabile'[4]. Menzione d'onore per il solito Christopher Walken che illumina ogni sua apparizione della consueta luce malata, obliqua e luciferina: immenso, inimitabile.

Terzo film consecutivo di Steven Spielberg a inscenare una caccia all’uomo dopo A.I. e Minority Report, fa anche parte di un nuovo filone in cui guarda al cinema classico (e) anni settanta, con racconti ispirati alla cronaca ma al servizio di parabole e allegorie sul presente (vedi The Terminal e Munich). La sceneggiatura è, infatti, tratta dall’autobiografia del protagonista Frank Abagnale jr. e lavora di flashback a partire dal 1969: molti film del periodo erano incentrati su truffatori ai danni del Sistema, antieroi del successo da raggiungere con qualsiasi mezzo, dopo la promessa tradita del Sogno Americano; come dimostra il paradossale finale, il Sistema finiva per inglobarli per continuare a funzionare. Dal lato ludico, c’è il sollazzo nel vedere andare in porto varie truffe ingegnose e realmente accadute per mano di un ragazzo (fuori dal) comune, che traeva ispirazione da Goldfinger, 'Perry Mason' e i fumetti di ‘Flash’; da quello d’autore, si reiterano il tema del Peter Pan sognatore e romantico, della ricerca del padre (traccia quasi assente nel romanzo), del crimine a fin di bene, del ritorno a Casa (intesa come famiglia equilibrata: commovente la parte finale in cui il piano crolla). La fotografia di Janusz Kaminski cerca i colori pop di quegli anni, la musica di John Williams evoca i temi di Henry Mancini e Spielberg riporta in auge i titoli di testa animati per rifare, in commedia amara, Sugarland Express, con forzature per rendere simili segugio e preda, e trovare un nemico comune nei francesi (rozzamente dipinti come fascisti). Morale: le difficoltà vanno superate creativamente; corollario: in un mondo dove contano solo le apparenze, la faccia tosta è vincente, soprattutto se regala sogni (la bellissima scena all’aeroporto sulle note di ‘Come fly with me’).