TRAMA
La relazione complicata fra il gentiluomo Fitzwilliam Darcy e la signorina Elizabeth Bennet, accaniti cacciatori di zombie.
RECENSIONI
È una verità universalmente riconosciuta che ripensare per lo schermo quello che è forse il classico della letteratura inglese richieda una certa dose di coraggio, per non dire di incoscienza. Soprattutto se la trasposizione è ulteriormente mediata dalla sapida riscrittura di Seth Grahame-Smith, che rispettando (quasi) alla lettera intreccio e dialoghi, e aggiungendovi succinte descrizioni di violenza e mostruosità assortite, evidenzia quanto poco basti all'inamidata Inghilterra della Reggenza per trasformarsi, letteralmente, in un'isola insanguinata. E davvero i rituali della borghesia e della piccola nobiltà di campagna, le feste, le visite, le conversazioni (e, soprattutto, quanto in quelle conversazioni viene più o meno consapevolmente omesso) sembrano nati per lo schermo, apparendo pienamente condivisibile l'osservazione di Anna Luisa Zazo: 'J.A. è in verità scrittrice visiva, cinematografica, che procede per immagini in movimento; creatrice di immagini che mirabilmente rivelano e restituiscono una realtà nascosta' (dall'Introduzione a Northanger Abbey, Mondadori 1982). Ma proprio in forza di questa propensione, i testi della Austen rischiano più di altri di rendere evidenti i limiti di una riduzione per lo schermo: troppo perfetto l'equilibrio di descrizioni, (false) impressioni e discorso diretto, troppo mutevole e, a tratti, indecifrabile il tempo della narrazione (che coincide con il punto di vista di uno dei personaggi, o spesso con più d'uno), infinite le sottigliezze, che anche una regia di qualità superiore rischia di sciupare. Burr Steers (anche sceneggiatore) maneggia la penna, al pari della macchina da presa, con lo stesso vigore che il suo Darcy riserva alle armi, ma anche con un'identica indifferenza: la commedia umana, che Grahame-Smith carica di ulteriore sarcasmo, cede il posto a un dramma sentimentale piuttosto convenzionale, che vuole spiegare prima e più ancora che mostrare. Dopo un prologo che espande, con pregevoli idee tecniche (la soggettiva della fanciulla infettata), un'allusione sibillina e, proprio per questo, ben altrimenti inquietante, il 'teatrino' domestico allestito dal signor Bennet a beneficio delle figliole (e, di riflesso, dal regista per il suo pubblico) risulta, pur nel registro di una consapevole parodia, un mezz(ucci)o un po' troppo comodo e sbrigativo per 'razionalizzare' e rendere plausibile la trovata dei morti viventi, con allusioni storico-politiche (il colonialismo) troppo esibite per essere esclusivamente ironiche.
Nel corso del film emerge in modo sempre più chiaro come Steers tenda a postdatare il romanzo della Austen, sottraendolo alle suggestioni swiftiane di Grahame-Smith, per gettare piuttosto i personaggi direttamente fra le braccia di Charles Dickens: la parrocchia di San Lazzaro, che sulla carta era la destinazione (irlandese) dei novelli coniugi Wickham e Lydia, diviene qui il 'centro di raccolta' degli zombi, che ricordano molto da vicino i sottoproletari ante litteram dei romanzi vittoriani, opposti agli aristocratici difensori della vita mortale. Lo stesso Wickham, che nella Austen è un personaggio di rilievo ma non centrale, e soprattutto un essere spregevole (la scrittrice lo umilia sottolineandone la venale resa a Darcy, Grahame-Smith si spinge addirittura più in là, punendone l'audacia in modo atroce e scatologico - non svelo i dettagli per non rovinare il piacere di chi vorrà leggere), assurge qui allo status (spropositato, e scusabile solo in forza di trite convenzioni cinematografiche) di antagonista, il che indebolisce, e non di poco, la parte conclusiva del film, che stancamente si trascina fra duelli, agguati, segrete e tutto il bric-à-brac del genere fantasy-gotico, mentre lo studio dei caratteri cede il posto al desiderio di uniformarsi il più possibile a Twilight e prodotti similari (e si taccia dell'ammiccamento a possibili sequel, con cui si chiude il film). E gli esempi potrebbero continuare, da Mr. Collins ridotto a macchietta a Charlotte Lucas di fatto soppressa, quasi che il personaggio fosse rimasto nella sceneggiatura per un errore di editing, all'inconsistenza (al di là dello studiatissimo look, a metà strada fra Crudelia DeMon e Xena) di una figura decisiva come Lady Catherine de Bourgh (questa, sì, l'autentica 'cattiva', tanto nella Austen quanto in Grahame-Smith, ma evidentemente giudicata poco plausibile, in questo ruolo, da Steers). Restano, e non è poco, un certo brio nelle scene di azione (anche se avremmo fatto a meno dei ralenti di prammatica), il lusso della confezione e una sequenza memorabile: la proposta di matrimonio, risolta con un letterale duello senza esclusione di colpi. Solo in questo passaggio il film sa evidenziare come meglio non si potrebbe tutta la violenza autodistruttiva dei personaggi.