Commedia, DISNEY+, Drammatico, Grottesco, Recensione

POVERE CREATURE!

Titolo OriginalePoor Things
NazioneU.S.A., U.K., Irlanda
Anno Produzione2023
Durata141'
Sceneggiatura
Tratto dall'omonimo romanzo di Alasdair Gray (1992)
Fotografia

TRAMA

Una giovane donna deceduta viene riportata in vita da uno scienziato. Scappa con un losco avvocato e vive avventure in diversi continenti. Nel frattempo, scopre la sua passione per la giustizia sociale.

RECENSIONI

2+2 = 4

Con Povere creature! il percorso americano di Lanthimos si dota di una simmetria talmente evidente e perfetta da rendere credibile l'ipotesi (invero, piuttosto improbabile) di una pianificazione a tavolino decennale. Quattro film, due dittici impeccabili che rispecchiano un mutamento del pensiero e dello sguardo sulla materia, due cicli di progressiva apertura verso la luce. Se da un lato infatti The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro, entrambi sceneggiati assieme ad Efthymis Filippou (co-autore di Lanthimos fin dai tempi di Dogtooth), altro non sono che una coerente traduzione hollywoodiana della sua filmografia greca, dall'altro La favorita e Povere creature!, sceneggiati da Tony McNamara, ne rappresentano una sorta di ideale controcampo, due momenti di (parziale) rottura rispetto alle origini del regista, in cui a stupire, prima delle soluzioni visive sempre più eccentriche (gratuite? ci torneremo), è il cambiamento (radicale) nello sguardo sui personaggi, nonché la posizione dell’autore nei confronti della narrazione.

Per amor di sintesi e di schematizzazione, tanto i primi due film sono attraversati da corpi morti deambulanti quanto, nel secondo dittico, i corpi si fanno caldi e pulsanti, tendenti sempre - disperatamente o naturalmente - verso una nuova vita. E ancora, prima Colin Farrell, uomo, soffocato dalle ciniche regole di un mondo che non può governare, siano esse sancite da rigide autorità politiche o da ferree convenzioni sociali (The Lobster) oppure ancora da una diabolica e onnipotente figura divina (Il sacrificio del cervo sacro); poi Emma Stone, donna, il cui slancio vitale si riflette ora nel miserrimo (e fallace) tentativo di evadere dalla propria condizione sociale di subalternità (La favorita), ora di smarcarsi da una dimensione familiare iperprotettiva e, di nuovo, divina (God, padre e creatore) per (ri)vivere l'ingresso adolescenziale nella vita con quell'ingenua onestà capace di disintegrare e riscrivere tutte le sovrastrutture comportamentali della «buona società» (Povere creature!). Nel cambiamento di genere del protagonista, un cambio di prospettiva; ma non deve stupire la banalità dell'accostamento fra l'uomo e la morte e fra la donna e la vita. Quello di Lanthimos è sempre stato un cinema di superficie, immediato finanche nella sua dimensione allegorica e interessato soprattutto alla materia, dei corpi e delle immagini. Un cinema che osserva in modo glaciale i suoi personaggi all'interno di sistemi chiusi governati da leggi ferree e spietate, sancite sadicamente da figure genitoriali, sociali o divine perfettamente sovrapponibili all'autore e al suo senso di onnipotenza. Ma è anche un cinema che, con il film del 2019, ha iniziato un consapevole processo di autosabotaggio, giunto ora a compimento con Povere creature!; manco a dirlo, attraverso un corpo morto riportato letteralmente in vita.

She's Alive!

Nel corpo di Emma Stone dunque, Lanthimos non condensa più una verticale discesa verso l'abisso, ma traccia un episodico percorso di (ri)formazione verso la conquista di un nuovo spazio e di una nuova luce. Quella di Bella Baxter è un'evoluzione che finalmente si sviluppa come fuga da un sistema chiuso e curiosa esplorazione dell'altrove ignoto (si ricordi la fuga dall'albergo di The Lobster, in cui il protagonista finiva suo malgrado all'interno di un gruppo ribelle dominato da regole interne e logiche forse ancora più perverse: siamo agli antipodi) e in cui, per la prima volta nel cinema del regista greco, il sesso non è la gelida anticamera della morte (l'amplesso anestetizzato di Nicole Kidman e Colin Farrell ne Il sacrificio del cervo sacro), ma elemento libero di scoperta del sé e quindi serena ribellione nei confronti di ogni costrizione e pudore imposti dal contemporaneo. Quello da The Lobster a Povere creature! è allora un movimento che parte dall'impossibilità del sentimento all'interno di un mondo governato da rigide strutture sociali per arrivare alla costruzione di un personaggio capace finalmente di scardinare ogni convenzione attraverso un'ostinata ricerca dell'amore (in senso fisico, intellettuale, pietistico, sociale, politico). In questa Londra vittoriana e positivista e in questa Europa densa di suggestioni steampunk, Bella è creatura incomprensibile e ingovernabile (perfino dal suo creatore), figura altra, aliena perché alieno è il suo sguardo sul mondo. E a questo proposito, forse non è un caso che lo score di Jerskin Fendrix sembri evocare in alcuni momenti le inquiete tensioni composte da Mica Levi per Under the Skin: seppur con esiti e sguardi totalmente differenti, anche il capolavoro di Jonathan Glazer poneva al centro una misteriosa figura inafferrabile, in quel caso dichiaratamente extraterrestre e artificiale nella misura in cui indossava il genere femminile umano come una nuova pelle, per intraprendere quasi inconsciamente un processo di scoperta di sé e del mondo che passava anche attraverso la percezione della sessualità e la scoperta della pietà.

Uno sguardo distorto dunque, esattamente come distorte sono le immagini che ci restituisce Lanthimos: bellissime e mostruose, psichedeliche e kitsch, dominate ancora una volta dall'utilizzo apparentemente sconsiderato di grandangoli, fish-eye e mascherini (a forma di occhio!) con il solo scopo di deformare giocosamente lo spazio e di stimolare lo sguardo dello spettatore, quasi a volerne cercare una riconfigurazione, riconducendolo allo stupore primitivo e immediato - di nuovo, quello dell'autore è un cinema di superfici - del cinema muto. Ed è sempre in quest'ottica che Lanthimos, con convinzione e slancio ancora più radicali, persegue la strada della commedia grottesca già sperimentata con La favorita, facendone qui una sorta di possibile sintesi tra la stravaganza di Terry Gilliam e la visionarietà di Tim Burton. Come se il lavorare all'interno delle coordinate di un genere così poco educato e prevedibile fosse essa stessa una solare forma di provocazione nei confronti di un sistema produttivo che, generalizzando con tutta la consapevolezza del caso, tende sempre più verso un algoritmico controllo della forma e del contenuto. Un gesto questo, che è giocoso e serissimo, capace di porsi come potente affermazione identitaria, assieme della protagonista e di un certo cinema d'autore che pur di incontrare il (grande) pubblico è disposto a vestirsi di mainstream per poi spogliarsi - letteralmente - quando ormai si spengono le luci della sala.