Avventura, Commedia, DISNEY+, Drammatico, Fantastico, Musicale, Recensione

PETER PAN & WENDY

Titolo OriginalePeter Pan & Wendy
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2023
Durata106'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Nella Londra edoardiana, Wendy Darling trascorre la sua ultima notte a casa con i suoi genitori, George e Mary, e i suoi due fratelli minori, John e Michael, prima di andare in collegio il giorno successivo. Wendy non è contenta della sua partenza e dice a sua madre che non vuole crescere. Più tardi quella notte, Peter Pan appare nella scuola materna dei Darling. Avendo sentito parlare del desiderio di Wendy, afferma di essere venuto per portarla all’Isola che non c’è dove non dovrà mai crescere.

RECENSIONI

Ci sono storie che sembrano contenerne infinite altre e credo che questo aspetto abbia attirato verso il progetto di Peter Pan & Wendy un autore caleidoscopico come David Lowery, già regista per la Disney, prima dei più recenti successi cinematografici. La storia di Peter Pan è inevitabilmente la storia del suo ispiratore, Peter Llewelyn Davies, citato dai Coen, o di ciò mi illudo, nel titolo del loro bel film con Oscar Isaac (poche lettere di differenza e una pronuncia quasi identica!). La notazione non mi sembra del tutto peregrina (un po’ sì, lo ammetto!) perché alla fine anche la parabola sull’inutilità del talento, imbastita dai fratelli, è come sospesa nella circolarità immutabile – perfetta – del sonno/sogno.
Peter Davies muore suicida allo stesso modo di Anna Karenina, gettandosi sotto un treno. I giornali titoleranno: è morto Peter Pan. Una fusione tra arte e vita che permea l’intera esistenza di Davies. Di lavoro fa l’editore, grazie all’aiuto finanziario proprio di Barrie, ed è, incidentalmente, il cugino di primo grado di Daphne du Maurier. Ed è qui che si affaccia un’altra storia, una storia che coinvolge finanche Alfred Hitchcock. La casa editrice di Davies pubblica infatti, nel 1936, un libro che non ottiene un particolare successo: un mezzo fiasco, insomma. Il romanzo, scritto da Frank Baker, si intitola The Birds. Nel 1952, Daphne du Maurier pubblica un’omonima short story accreditata come ispirazione del film Gli uccelli. Si può presumere che ci sia stata una contaminazione fisiologica di idee… o fu una sorta di plagio, magari involontario, in virtù della stretta parentela tra Davies e du Maurier, la quale potrebbe aver letto il romanzo di Baker persino nelle bozze preparatorie? A chi si è ispirato chi? Alcune informazioni si possono leggere sul sito dedicato a Frank Baker stesso.
Degli uccelli fuori controllo, e la prima storia nella quale si accenna a Peter Pan: L’uccellino bianco.
Tante storie, troppe, magari, sembrano creare un intrico…
Ogni tanto un autore, di moda, come David Lowery, o fuori moda – a mio avviso, ma so di essere in minoranza, non così giustamente – come Tim Burton, si lascia prendere la mano da progetti che sulla carta sono insidiosi, almeno dal punto di vista dell’accoglienza critica, addirittura più del film d’autore duro e puro, dai significati impenetrabili. È il caso di Peter Pan & Wendy, rifacimento dei rifacimenti, ed era senz’altro anche quello di Dumbo, divenuto, nelle mani del regista di Burbank, un elogio della lentezza dai risvolti iconoclasti (mica male che, nel pre-finale di un film Disney, il regista scelga di far bruciare… Disneyland, o un luogo che idealmente moltissimo gli si avvicina). Burton cantava lì, come sempre ha voluto fare – ed è vero che le sorti sono state alterne e che noi, come lui, sentiamo il peso degli anni e del cinismo che li accompagna – i suoi freak, ancora un sacco romantici e fieri. Agli strambi di Tim importa davvero, e soltanto, di essere quello che vogliono e possono essere, senza curarsi degli sguardi sbilenchi, di etichette o convenzioni; con leggerezza, la leggerezza della neve di Edward e quella dell'elefantino che scopre di non aver bisogno di nessun aiuto esterno per poter finalmente volare: il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume.
La prospettiva si ribalta nel film di Lowery, canto della solidarietà fra pari e non solo. Peter scopre di non bastare a sé stesso e, che voglia ammetterlo o no, questa è una consapevolezza adulta. Va detto che, anche se il target è il target (ciò vale sempre, valeva per Dumbo come pure per Artemis Fowl, di Branagh), in Peter Pan & Wendy si intravedono, dapprima, per poi rendersi evidenti con chiarezza, temi e topiche ravvisabili in molta produzione del regista di Milwaukee, a partire da A Ghost Story, per sconfinare in quell’ipnotico pastiche che era Sir Gawain e il Cavaliere Verde: il senso dello scorrere del tempo, la sua ineludibilità tangibile, che diventa qualcos’altro attraverso il ricordo, la rievocazione, una specie di infinito amore.

In un articolo che riflette sul tema della temporalità dell’opera d’arte e il fantasma in Lacan, Alessandro Paolo Lena cita «il modello del Nachleben di Aby Warburg, nel quale le immagini incarnano il tempo discontinuo e impuro delle sopravvivenze». Con riferimento a La rinascita del paganesimo antico. Contributi alla storia della cultura raccolti da Gertrud Bing (1966, p.196), l’autore riporta, a proposito del mito di Orfeo e delle sue riproposizioni, «che la morte di Orfeo non fosse soltanto un tema di atelier d’interesse puramente formale, ma un’esperienza vissuta appassionatamente con piena intuizione del dramma misterioso della leggenda dionisiaca, rivissuta realmente nello spirito e secondo le parole dell’antichità pagana, è dimostrato dal primo dramma italiano del Poliziano, dal suo Orfeo concepito in ritmi ovidiani, rappresentato per la prima volta a Mantova nel 1471».
C’è un dramma, misterioso e leggendario, che il racconto sembra perpetuare, a cui il racconto – la sua necessità mitopoietica, la riproposizione alterata dal/del tempo – sembra conferire sempre nuova linfa vitale.
Mi è tornato in mente anche Deleuze, quando, in L’immagine-tempo (Ubulibri, 1989, p. 63), parla dei concetti – parafraso – di totalità e di parzialità, rispetto alle tematiche di All About Eve e Improvvisamente l’estate scorsa. Scrive Deleuze: «All About Eve non è esattamente “Tout sur Eve”, è piuttosto “un bel po’”. In Suddenly Last Summer vi è un solo flash-back […] proprio perché gli altri flash-back sono stati inibiti, sostituiti da racconti e ipotesi, senza tuttavia annullare le biforcazioni corrispondenti […]».
Il tempo e i dualismi semantici, senza che ci sia bisogno di un salto temporale all’indietro, appartengono almeno a un paio di testi celebri della letteratura per l’infanzia, cosiddetta, otto-novecentesca: Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e, appunto, Peter e Wendy, riproposizione romanzesca della pièce teatrale dal titolo Peter Pan. Il bambino che non voleva crescere. Barrie, che crea un mondo meno lisergico, ma altrettanto fantasioso, rispetto a quello inventato da Lewis Carroll, ingaggia un gioco col suo predecessore proprio sul concetto del tempo: il Bianconiglio è ossessionato dalla paura di essere in ritardo (il vecchio cartoon Disney è magistrale nel creare il refrain) e molti altri personaggi di Wonderland sembrano essere colti da una frenesia a intermittenza. Capitan Uncino ha qualcosa che – forse – detesta ancora di più di Peter Pan e cioè il ticchettio dell’orologio; è il rumore che gli riporta alla mente il coccodrillo che gli ha causato la menomazione di un arto. Di fatto, e fuor di metafora, è il rumore che segna lo scorrere corrosivo del tempo.
Sul tema del tempo e della dicotomia tra sogno e realtà (il tempo sognato che bisognava sognare, direbbe Fossati), Lowery ricama biforcazioni – o triforcazioni – realizzando un’opera fruibile da parte di un pubblico molto giovane, che si divertirà parecchio, anche grazie a scelte di cast assai azzeccate, e da un pubblico adulto, in grado di cogliere ciò che di tragico il plot potrebbe sottendere, in virtù di alcune modifiche di rilievo agli equilibri originari tra i due principali contendenti.
Il suo film si configura, in questo senso, come un’interessante matriosca. L’aspetto che immediatamente si coglie è piuttosto classico: una bambina, che non accetta di dover diventare grande, viene attirata dentro la storia che, insieme ai fratelli più piccoli, si divertiva a riprodurre. Come in ogni storia edificante, il lieto fine, o quasi, è atteso. E tutti – o quasi, anche qui – vissero felici e contenti; e saggi, più maturi e consapevoli di quando il racconto è cominciato. Il problema non è crescere, afferma Wendy, a un certo punto, ma è crescere nel modo sbagliato. Il suo sguardo di bambina che sta crescendo, centrale nel film di Lowery, ci offre una visuale, per così dire, diversa, più ampia. Non a caso Wendy è capace di ascoltare davvero Trilly.

Eppure, se si osservano altre apparizioni narrative di Peter Pan, che nel lavoro di Lowery non vengono citate in modo esplicito, ma è come se facessero parte di un sottotraccia intradermico, si possono notare toni almeno malinconici. Penso in particolare a Peter Pan nei giardini di Kensington, pubblicato nel 1906. La vicenda, come quella di Orfeo, come quella di questo Capitan Uncino, narra la storia di una ribellione: Peter, trasformato in un neonato, grazie al poter del Re Salomone (Salomone Gracchia, nella traduzione che ho usato), scappa dalla finestra – ancora, e per poco, può volare perché era stato uccellino – quando ha solo sette giorni, e torna sull’isolotto nel parco: «Egli ha solo una settimana di età e nonostante sia nato tanto e tanto tempo fa, non ha mai avuto un compleanno né c’è la minima speranza che sia mai per averne uno. La ragione ne è che egli scappò da essere una creatura umana quando aveva sette giorni; scappò per la finestra e rivolò addietro nei giardini di Kensington.» [1 Scoprirà, una volta arrivato, di non poter più essere né uccello né bambino e che il suo destino sarà quello di rimanere sull’isola: «Povero piccolo mezzo e mezzo — esclamò Salomone, che, in fondo, non aveva il cuore duro. — Tu non sarai mai più capace di volare, neppure nei giorni di vento. Devi rassegnarti a vivere nell’isola per sempre.»
Ma Peter – di nuovo – non ci sta; si ingegna e riesce ad andare oltre l’acqua.
Il Capitan Uncino di Peter & Wendy invece non ci riesce. Anche lui bambino, una volta, il migliore amico di Peter (e questo è l’aggiornamento più evidente e interessante, rispetto alla storia di carta), fuggendo da Neverland, cade in mare. Lo salva e lo cresce il nostromo Spugna ed è lecito credere che, di ex bambini, ne abbia salvati diversi. L’aspetto di Uncino è quello di un adulto, ma è un uomo che ha letteralmente perso il tempo. Così i suoi marinai, troppo interessati a un balocco di pezza, per non risultare anime difformi rispetto ai sembianti.
Peter è qui uno spiritello dispotico o forse è il doppio speculare del suo vecchio amico James. Del resto, la stessa isola appare come un Sottosopra letterale, dove l’arcobaleno forma, non una volta, ma un sorriso. Peter Pan si impone di perpetuare il tempo perché qualcosa dentro di lui gli ha indicato che nessun cambiamento sarà possibile: è l’adulto nel corpo di un eterno bambino e la sua ombra non gli corrisponde, gli sfugge come fosse già altro da sé.
Dice Amleto a Rosencrantz e Guildenstern che lo interrogano, dissimulando la ragione del loro essere lì: «anche il sogno non è che un’ombra.» Di fantasmi e di ombre se ne intendeva, senza – amletico – dubbio.
Peter non sa cosa sia un bacio e lo scambia per un ditale perché «sebbene fosse sempre tanto piccino, pure in realtà erano passati anni e anni dacché per l’ultima volta aveva rivisto sua madre».
Peter non vuole diventare adulto, o magari non può, ha compreso di non potere, ma può essere d’aiuto a qualcuno che non sia sé stesso. Il suo destino è quello di rimare nell’Isola che non c’è, tanto simile a un aldilà pagano, in questa raffigurazione filmica. Tuttavia, grazie al vascello pirata di Uncino, trasformato in un castello errante (di Howl!) o nell’Arcadia di Capitan Harlock, riesce a salvare, almeno nei sogni, almeno nella finzione che la letteratura e il cinema ci consentono, altri piccini, piccini com’è stato lui, prima di precipitare (e nel film assistiamo, in effetti, a una morte di Peter).
E noi, be’, noi sappiamo, perché ormai siamo cresciuti, che i fantasmi non esistono e cosa significa che un bambino sia rimasto, per sempre, un bambino: «Fa così perché crede che così i bimbi veri farebbero, e voi dovete aver notato queste piccole pietre, le quali sono sempre accoppiate. Egli mette sempre due bimbi insieme, perché così si tengono compagnia. Io credo che la vista più commovente dei giardini siano le due piccole tombe di Walter Stephen Matthews e Phoebe Phelps. Stanno l’una accanto all’altra nel punto dove la parrocchia di Santa Maria di Westminster confina con quella di Paddington. Peter trovò lì i due bimbi che erano caduti dalle carrozzelle (i lost boys che, in Lowery, diventano opportunamente boys and girls, lasciando da parte le considerazioni sulla maggiore intelligenza delle femmine, ndr) senza che le loro governanti se ne accorgessero.»
Le iscrizioni sulle pietre dicono solo: W. St. M. e P. P., Phoebe Phepls… Peter Pan.

[1] Le varie citazioni testuali sono prese da qui