Drammatico

PAROLA DI DIO

TRAMA

In una scuola della provincia russa, la crociata (semi)solitaria dello student Veniamin a difesa di un’interpretazione letterale delle Sacre Scritture. L’unica a opporsi è Elena, la professoressa di biologia.

RECENSIONI

La sequenza più scopertamente teatrale di Parola di Dio mette in scena uno scontro di civiltà nella palestra di una scuola. Protagonisti sono un adolescente ossessionato dalla purezza della fede – intesa come martirio e punizione dell’infedele – e Padre Vsevolod, sacerdote ortodosso ormai ben accomodato nei relativi privilegi che il suo ruolo gli concede. Tutti sono in grado di vivere per una religione. Quanti sono disposti a morire? È superiorità morale quella di chi non pensa di dover uccidere per il proprio credo, o pigra tolleranza borghese? Nel raccontare un parossistico processo di radicalizzazione, Parola di Dio non fa nulla per nascondere la sua natura di film a tesi. L’adolescente e il sacerdote – icone più che personaggi, incarnazioni di modus vivendi incompatibili – sono isolati in campo lungo. Accesa la miccia iniziale, Parola di Dio procede in modo lineare e fin troppo monocorde, se non fosse per qualche divagazione semi-comica (la lezione di educazione sessuale, i siparietti fra Veniamin e la madre): in un crescendo drammatico surreale, la fede ossessiva di Veniamin sfocia in una sequenza di provocazioni, inediti colpi bassi, e prevedibili efferatezze – con la scena del martirio (reale) fra i massi del lungomare. Perché non insegnare Darwin e il creazionismo e lasciare che siano gli studenti a scegliere? Solo Elena Krasnova, insegnante di biologia anticlericale e laica, avrà il coraggio di dire di no. È a lei – non allo studente, né al sacerdote – e alla sua battaglia solitaria, che vanno, in modo altrettanto scoperto, le simpatie del regista/sceneggiatore (il film è tratto dalla pièce Martyr, di Marius von Mayenburg).

In tempi di feroci radicalismi, Serebrennikov solleva il velo sulla tradizione giudaico-cristiana, puntando il dito – letteralmente, con paragrafetti in sovraimpressione che accompagnano i dialoghi fra i personaggi – sui passaggi più controversi, sulle inevitabili contraddizioni, sui frammenti di ferocia che attraversano i Testi Sacri. Che Veniamin sia più un’idea che un personaggio in carne e ossa è in qualche modo evidente dalle prime inquadrature. È un crociato, integerrimo difensore di un’interpretazione rigida e dottrinale della Bibbia, e incarnazione idealtipica di un fanatismo che conduce a un’intolleranza radicale e violenta. Nell’intraducibile gioco di parole del titolo originale ((M)uchenik), e uno studente (Uchenik) e un martire (Muchenik), che si rovescia nel suo doppio perverso, una creatura demoniaca e inafferrabile. Nello spazio volutamente occlusivo, quasi cunicolare della casa in cui vivono, vediamo sua madre Inga – una figura che oscilla fra isterismo e involontaria comicità – domandare a Veniamin (sempre fuori campo) per quale motivo abbia saltato le lezioni di nuoto. Quando il ragazzo comunica che la sua religione gli vieta di mischiarsi con ragazzi e ragazze seminude, la sorpresa di Inga ci fa capire che la conversione deve essere avvenuta da poco. Come e perché? Non ci è dato di saperlo. Probabilmente non è così importante. Non è la psicologia di uno studente alle prese con una crisi mistica a interessare il regista russo, ma le sue conseguenze sull’ambiente circostante – le conseguenze morali e politiche di un pensiero estremista e monolitico su una società dai valori incerti e fluidi.

Il significato di Parola di Dio è soprattutto, come in molta cinematografia russa recente, politico – una politica delle piccole cose, che si svolge fra le aule scolastiche, con una preside-matriarca troppo pronta al compromesso. Siamo a Kaliningrad Oblast, anonima periferia russa. Una gigantografia di Putin campeggia su una parete della scuola. Racchiusa nelle maglie (spesso troppo strette) di un film a tesi, sta un apologo amaro sulla Russia contemporanea. All’estremismo unidirezionale di Venya corrisponde l’atteggiamento ambivalente degli “altri”, in particolare di quegli adulti che dovrebbero farsi carico della sua educazione. L’agnostica Inga diventa credente. La preside la licenzia. Padre Vsevolod – emblema di una religione ancella del potere – si presta a facili ironie sugli Ebrei. I compagni di classe sono contagiati da quell’enfasi mistica che, paradossalmente, finisce per suonare come una ribellione contro il sistema. Nell’incertezza di insegnanti e genitori è riflessa la crisi identitaria di una società in trasformazione. Risale a pochi anni fa la legge, voluta da Vladimir Putin, che impone l’insegnamento obbligatorio della religione nelle scuole. Uno strappo fortissimo e difficile da metabolizzare rispetto all’ateismo della storia russa recente. La tensione che attraversa il film nasce dalla rottura dell’equilibrio fra ragione, fede, e desiderio. Nella prima parte del film, il protagonista, interamente vestito e apparentemente impassibile, registra con lo sguardo il passaggio delle compagne che corrono sui bordi della piscina. Poco distante, nel medesimo spazio orizzontale della piscina, Oleg, l’insegnante di educazione fisica fissa quegli stessi corpi con malcelato appetito sessuale. La contrapposizione, anche estetica, dei due uomini, non potrebbe essere più evidente. Veniamin, stavolta inquadrato in primo piano, ha il volto emaciato del martire. Oleg è un uomo di istinti e di gioie corporali. In disparte sta una terza figura maschile, quella di Grigoriy, un adolescente sensibile e storpio, preso in giro dai compagni, innamorato senza speranza di Veniamin, inevitabilmente conquistato dal suo carisma. Sfiorando la blasfemia, la tensione erotica si fa palpabile quando Veniamin cerca di curare, per imposizione delle mani, la gamba troppo corta di Grigoriy. In questo intreccio di sguardi e desideri, contro cui Veniamin combatte una delle sue personali battaglie, fra attrazione e disgusto, sta il primo elemento di tensione. È fin da subito il desiderio carnale, più che la razionalità laica di Elena – che non a caso forma una coppia mal assortita con Oleg – l’unico demone di cui anche Veniamin è, a suo modo, vittima.