Animazione, Avventura, Commedia, Fantasy, Netflix, Recensione

OVER THE MOON

Titolo OriginaleOver the Moon
NazioneU.S.A., Cina
Durata95'
Sceneggiatura

TRAMA

La piccola Fei Fei perde sua madre a causa di una malattia. Passano gli anni e, quando il padre inizia una nuova relaz​ione, decide ​di partire verso la Luna alla ricerca della dea Chang’e la cui leggenda le veniva raccontata dalla mamma quando era bambina.

RECENSIONI

Magari ai più dice poco, ma alla guida di questo lungometraggio vi è una star dell’olimpo degli animatori, una ​Disney Legend:​ non un’iperbole da fan club, ma un vero proprio titolo di cui la Disney insignisce tutte le personalità di spicco che hanno fatto la sua storia. E Glen Keane non è certo un artista su cui sorvolare, trattandosi della matita dietro alcuni dei più amati personaggi animati (Ariel, la Bestia, Aladdin, Pocahontas, Tarzan, per citarne alcuni). In seguito al suo abbandono della Disney avvenuto nel 2012 per dedicarsi a progetti più personali e sperimentali, ha diretto alcuni splendidi corti, l’ultimodei quali ​Dear Basketball ​(2017) - in collaborazione con Kobe Bryant - gli è valso addirittura un Oscar. A onor del vero ci fu un tentativo di regia sfumato per una delle versioni di Rapunzel (divenuto poi ​Tangled​) che voci di corridoio definivano splendida e molto ​dark​, nonostante uno zoppicante e mai risolto terzo atto che costrinsero John Lasseter a cambiare direzione e sottrargli la regia. Rimase però nelle vesti di direttore dell’animazione (ruolo forse a lui più consono) che gli permise di infondere il suo ineguagliabile tocco al film ridefinendo (ancora una volta dopo il Rinascimento anni 90’) l’animazione Disney moderna, questa volta in CG. In Disney avvenne anche il sodalizio con John Kahrs, regista e premio Oscar per il corto ​Paperman (2012), co-regista di ​Over the Moon per Netflix e ​supervisor director della serie ​Trash Truck​, altro progetto della Glen Keane Productions, ancora per il gigante dello streaming, sempre più voglioso di prodotti animati per famiglie, al punto da aprire una divisione apposita (la Netflix Animation) che promette enormi investimenti nel settore. Altro tassello di questo mosaico produttivo sono i Pearl Studio, (già dietro ​Il Piccolo Yeti​) ex-Dreamworks Oriental ma ormai rilevati dal governo cinese.

I Pearl Studio nascono con l’obiettivo di creare ​content indirizzati soprattutto al mercato cinese ma, se il film è legato a usi, costumi e leggende tradizionali, americanissimi sono la sua concezione e ​story-telling​, di impronta fortemente disneyana, data anche la scelta del genere ​musical ​animato, e il ​design dei protagonisti, a cui ha contribuito Jin Kim, braccio destro di Keane dalla fine degli anni 90’ e suo successore spirituale in Disney dopo la sua partenza. Molto più osati e quasi grotteschi sono invece i modelli dei nonni e degli zii di Fei Fei, protagonisti di un’esilarante sequenza a tavola. Ma a spiccare sono due momenti musicali, uno sulle note della canzone ​Rocket to the Moon​, classica ​I want song disneyana, il cui ​pathos è accentuato dai virtuosismi della camera virtuale, e la K-pop ​Ultraluminary​, di sicuro la più singolare e inusuale, che aggira abilmente il rischio del cattivo gusto e del fuori luogo grazie ad un uso interessante di luci, costumi e coreografie. Americanissimi sono anche gli studi Sony Pictures ImageWorks, responsabili delle curate animazioni ad eccezione della poetica sequenza iniziale animata in 2D da Keane in persona, nello stile dei suoi ultimi cortometraggi (​Duets ​in primis​), che racconta la triste storia della dea Chang’e, del suo esilio lunare, e la creazione dello psichedelico regno di Lunaria che la ​production designer Celine Desrumaux dipinge brillantemente (è il caso di dire) ispirandosi alla cover dell’album ​The Dark Side of the Moon​ dei Pink Floyd e ai dipinti di Mirò.

Sfortunatamente c’è poco altro di interessante in questa ambiziosa produzione che non va oltre le sue promesse e premesse (l’elaborazione del lutto e l’aprirsi a nuovi affetti), sviluppate in modo meccanico senza mai scavare nei personaggi spesso monodimensionali (su tutti il ragazzino Chin e la dea) se non addirittura irritanti (l’alieno Gobi che dovrebbe fungere da spalla comica sconfina spesso nell’inopportuno), mentre il moltiplicarsi dei sempre disneyani ​sidekick pet ​(la coniglietta di Fei Fei, quello della dea e la ranocchia di Chin), non fa che appesantire inutilmente la narrazione. Non aiutano alcune assurde ingenuità di trama come il posticcio progetto del razzo lunare, che frantuma qualsiasi sospensione dell’incredulità, rendendo davvero convincenti soltanto le già citate sequenze musicali e gli iniziali quadretti familiari, spontanei nella loro quotidianità a volte intima (le storie raccontate dalla madre), altre caotica (la divertente cena con i parenti). All’atto pratico Over the Moon risulta, per quanto godibile e innocente, ben lontano dal suo potenziale, riducendosi a un Disney ​wanna-be ben confezionato, ma scolastico e datato, che guarda alle produzioni animate anni 90’ (epoca d’oro di Glen Keane), fingendo di essere al passo coi tempi, ma lontano dal nuovo e coraggioso approccio delle recenti produzioni animate (​Big Hero 6​, ​Coco​, ​Frozen 2)​, finendo per essere il film meno riuscito dell’attuale offerta Netflix, tra cui risaltano i ben più interessanti ​Klaus​, ​Dov’è il mio Corpo?​ e ​I Willoughbys​.