Drammatico

ODETE

Titolo OriginaleOdete
NazionePortogallo
Anno Produzione2005
Durata97'
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Odete lavora in un supermercato a Lisbona e sogna di avere un figlio da Alberto. Ma Alberto non vuole e la lascia. Rui è sconvolto dalla morte del suo ragazzo, Pedro.

RECENSIONI

Nell’inevitabile confronto con il suo predecessore, un capolavoro disperato come O fantasma, Odete s’impone come il suo inaspettato contraltare: se nel primo caso Rodrigues era riuscito a modellare un lavoro libero e che suonava provocatorio nei fatti, quest’ultimo è un film costruito e ragionato e che sulla provocazione, in maniera evidente, gioca anche sul piano intenzionale. Le solitudini diventano due e sembrano scorrere parallele per incrociarsi e soccorrersi, il feticismo da sessuale (ancora il predecessore) diventa sentimentale, l’ossessione necrofila è quasi hitchcockiana (la vestizione di Odete che replica Pedro e vi si sostituisce – il finale: «Chiamami Pedro!» -), la gravidanza è (un’ossessione) isterica, i tentativi di chiarirsi, come il sesso, sono del tutto sterili (persino la sodomia finale è un atto impossibile). Rodrigues, cui non è estraneo l’approccio surrealista, penetra clinico nelle situazioni (l’anello sottratto al morto con una sorta di fellatio al dito) e nei rapporti (che, per amor di paradosso, sono invece estremamente concreti, carnali, vivi), affonda la macchina da presa nello squallore di una Lisbona-limbo, città dolente che non aspira a redenzione alcuna, in cui il quotidiano si costruisce con i cellulari e si cerca di ridare vita ai morti (Pedro, un nuovo fantasma amoroso che si reincarna) e di superare l’Inevitabile attraverso il sogno e la rimozione degli accadimenti, laddove quella onirica è la rifrazione esatta di una realtà che si crea con un agire effettivo e che cattura amore, dolore, speranze.
Tra le pieghe di un melodramma raffreddato (in cui la pioggia scroscia a sottolineare un dolore, il vento spira improvviso ed enfatico) e disciolto in un romanticismo crepuscolare, ma mai privo di consapevolezza e autoironia (il più volte citato Colazione da Tiffany) Rodrigues, se firma un’opera di passaggio, non completamente risolta e che sembra patire a tratti l’eccesso di studio, si dimostra nondimeno inesorabile nell’evitare il trasporto emotivo, confermandosi, d’altra parte, sublime tessitore d’atmosfere, gestendo le sue lunghe sequenze con studiatissimi, lenti ma insistiti movimenti di macchina che vanno in cerca del dettaglio, lo enfatizzano e lo celebrano (le bocche che parlano o baciano – si pensi all’iniziale primo piano ravvicinato -), non disdegnando suggestivi quadri d’insieme (per tutti: il folgorante pianosequenza iniziale con gli scaffali del supermercato che delimitano il frame, la sublime ripresa dal basso che incornicia la protagonista nella notte ventosa, la plongée che cattura il corpo della donna disteso sulla tomba di Pedro e, soprattutto, i pittorici cambi di luce e ombra nella notturna, splendida carrellata laterale che segue Odete e la sua carrozzina sulla strada per il cimitero).