Commedia, Criminale, Recensione

OCEAN’S ELEVEN

TRAMA

Danny Ocean (George Clooney) appena uscito dal carcere recluta dieci complici per svaligiare contemporaneamente tre casinò di Las Vegas, il proprietario si chiama Terry Benedict (Andy Garcia) ed è il marito di Tess (Julia Roberts), l’ex moglie di Ocean.

RECENSIONI

Piu' che il remake di "Colpo grosso" di Lewis Milestone, sembra un'avventura di Zio Paperone contro la Banda Bassotti. Non si crede infatti nemmeno per un attimo al dettagliato e geniale piano delle undici canaglie, reclutate dal solito impeccabile e sornione George Clooney, per svaligiare un ricco caveau di Las Vegas. Ma se la commedia, perche' di commedia si tratta, funziona, il merito e' anche della non credibilita' della vicenda. All'inizio questo aspetto disorienta e irrita un po', dando l'idea di pressappochismo, poi, pero', si fa strada l'idea che l'intento sia di regalare una pausa cinematografica che faccia amoralmente sognare. In questo senso la sceneggiatura gioca un po' sporco, ma lo fa con una certa classe. Non si tratta di una normale rapina in banca, ma della rapina a un irraggiungibile caveau di Las Vegas. Il bottino non e' di qualche miliardo, ma di ben centosessanta milioni di dollari. Non si tratta di ladruncoli qualunque, ma di specialisti del settore in grado di prevedere qualsiasi mossa. Il cattivo ovviamente e' un super cattivo, avido e senza cuore, e si prova un sottile piacere nel vederlo in difficolta'. Insomma, la ricetta del successo e' l'esagerazione. Non per niente l'ambientazione e' proprio Las Vegas, il cuore del kitsch estremo. E non a caso il cast e' "all star", con una quantita' di divi impensabile (che hanno l'aria di divertirsi molto) equamente distribuita in una sola pellicola.
Cosi', tra scenografie lussuose, abiti eleganti mai sgualciti, un soundtrack tutto jazz che conferisce un ritmo brillante alle sequenze, e botta e risposta assai improbabili ma efficaci, la prevedibile vicenda scivola con leggerezza, regalando poche emozioni (la prima parte, anzi, e' un po' noiosetta) ma una buona dose di simpatia.
Anche Steven Soderbergh, dopo gli impegnati "Erin Brockovich" e "Traffic", sembra essersi voluto prendere una vacanza. In realta', pero', il suo disimpegno e' solo apparente. Oltre a dirigere con un certo brio una storia fuori dai suoi canoni, ne cura anche la fotografia, sotto l'anonimo pseudonimo Peter Andrews.
Resta un dubbio: se al posto del fascino dei divi in libera uscita ci fossero stati degli sconosciuti in un'anonima provincia, il risultato sarebbe stato lo stesso?
Ai posteri l'ardua sentenza! Intanto godiamoci una commedia senza sorprese, ma scritta, interpretata e diretta con professionalita'.

Puro Hollywood, riserva speciale. Il regista che attualmente meglio incarna l’idea del suo establishment, le star più quotate, una produzione senza rischi e un pizzico di esotismo dato dal tocco British ad arricchire il cast. A prova di bomba. Intrattenimento distillato e sicuramente di alta qualità. Non ci si aspetta di imparare molto, ma certamente il film funziona, ed i suoi interpreti sono talmente irresistibili da coprire e far passare inosservati i flare nella sceneggiatura (un esempio su tutti: le planimetrie del caveau ne forniscono forma e dimensioni, forse anche materiali, ma sicuramente non i colori; come è possibile farne una copia esatta senza fotografie?). La ricetta è la stessa di Out of Sight, ma Soderbergh è maturato da quei tempi, e sa che movimenti di macchina troppo evidenti o alterazioni nello scorrimento dei frames avrebbero reso il film ancora più improbabile. Le sequenze sono brevi, fatte principalmente di campi e controcampi, le inquadrature sono sempre primi o primissimi piani, quasi a sottolineare lo charme e il fascino degli interpreti. Quindi ci consegna un film morbido, elegante, che scivola via come seta al tatto, e che lascia nella mente dello spettatore la stessa impressione di delicata impalpabilità. Troppo distante per essere vero. D’altronde questo incarna le poetiche del cinema cui il regista guarda come modello, ovvero un cinema geograficamente identico, ugualmente moderato, facilmente abbordabile e molto, molto “entertaining”. Non solo perché il film è un remake, ma perché sono cambiate le facce me non le vicende, i vestiti ma non il glamour, la tecnologia ma non gli intrecci.

Le musiche di David Holmes, lo split screen, la fotografia di Pete Andrews (alias Steven Soderbergh), le facce da poker d'assi sornioni degli interpreti in un cast all-stars, l'allegoria dello scacco al Sistema, rappresentato dal "Banco" o dal personaggio di Andy Garcia: vincente, glaciale, spietato. Tutto riporta all'estetica di certo cinema americano anni settanta, con un occhio alle sue radici (è il rifacimento del molle Colpo Grosso di Lewis Milestone, 1960) e l'altro rivolto alle evoluzioni future (dopo Il Genio della Rapina, La Stangata, La Pietra che Scotta e simili, si è approdati a I Signori della Truffa e Mission: Impossible). Soderbergh persevera in un cinema di genere di forte richiamo spettacolare in cui imbrigliare la propria personalità: non dà la sensazione di "svendersi" ma di voler coscientemente annullarsi nelle formule impersonali dei codici hollywoodiani che, al contempo, sviscera brillantemente e sposa pedissequamente. Un gioco pericoloso in cui si confondono emulazione, simulazione e anonimia. Le sue simpatiche canaglie, fra reclutamento, tirocinio, meccanici imprevisti e rapina, si muovono in un meccanismo (quasi) perfetto, in una struttura corale dal ritmo sostenuto, dove l'azione non adombra lo studio dei caratteri e le parentesi da commedia rosa. Ocean's Eleven è un Out of Sight senza guizzi linguistici, un Erin Brockovich senza nerbo civile, un Traffic senza elaborazione, un piacevole divertissement, un pezzo di bravura da artigiano manierista. La trama di Ted Griffin "gonfia" e sconfessa l'originale, incappando in bolle impazzite (lo "strizza") e crepature (Matt Damon all'oscuro del piano di Clooney/Ocean; gli Undici solidali nel "colpo grosso per amore"). Il colpo di scena finale non fa effetto quanto la chiusura con arie soavi e musica sinfonica: una sequenza tanto insolita quanto quella con i flashback delle tentate rapine e quella con il volto controcorrente di Clooney tra la folla. Gentili "concessioni" di un autore in vacanza che vuole solo divertirsi e divertire, magari con una bizzarra gara di fuoristrada o la pancia "monumentale" di Elliot Gould. Camei di Shirley MacLaine, Angie Dickinson, Red Skelton, George Raft, Henry Silva.