TRAMA
Alex Beck (François Cluzet) e sua moglie Margot (Marie-Josée Croze) si recano al lago Chairmaine per celebrare l’anniversario del loro primo bacio, incidendo la diciannovesima tacca in un cuore intagliato sulla corteccia di un albero. Cala la sera e i due fanno il bagno raggiungendo lo zatterone. Dopo una breve discussione, Margot si tuffa e raggiunge il pontile, scomparendo e lanciando un grido: Alex si precipita in suo aiuto, ma una volta raggiunta la scaletta viene colpito da due mazzate che lo mettono fuori combattimento. Otto anni dopo. Il dottor Beck, pediatra di un ambulatorio parigino, riceve una mail anonima alla vigilia del ventisettesimo anniversario: “Clique sur ce lien, date anniversaire, 18h 15”, seguito da un link. Margot è ancora viva? Non è stata uccisa dal serial killer incriminato della sua morte? È l’inizio di un viaggio nel passato, tra fantasmi che ritornano e una realtà che si tinge d’assurdo.
RECENSIONI
Adattamento del romanzo del 2001 Tell No One di Harlan Coben (che nel film fa una comparsata sul marciapiede di una stazione ferroviaria), Ne le dis à personne è il secondo lungometraggio di Guillaume Canet, attore, regista, produttore e sceneggiatore francese nato il 10 aprile 1973 a Boulogne-Billancourt (città a sud-ovest di Parigi). Dopo Mon idole (2001), commedia drammatica interpretata tra gli altri dalla moglie Diane Kruger (matrimonio durato dal 2001 al 2006, dopodiché Guillaume si è legato a Marion Cotillard), Canet passa al polar, trasponendo il fortunatissimo thriller di Coban (tradotto in 27 lingue, più di 6 milioni di copie vendute nel mondo) e ritagliandosi il piccolo ma scomodissimo ruolo di Philippe Neuville, la mela più bacata del cesto. Spalleggiato nel lavoro di sceneggiatura dall'amico Philippe Lefèbvre (con il quale aveva già collaborato per Mon idole e anche attore in Non dirlo a nessuno nella parte del flic Philippe Meynard), Canet concepisce un adattamento a metà strada tra la fedeltà e il tradimento del testo originale. Se la prima ora del film (che dura 125') rispecchia sostanzialmente la scansione narrativa del romanzo, la seconda metà è caratterizzata da spostamenti di sequenze e alterazioni drammaturgiche sempre più significative (come la torturatrice ectomorfa, che nel libro era un coreano dalle mani temprate tipo Bruce Lee), fino a culminare nella vera e propria riscrittura del finale che modifica l'identità dell'assassino (Coben ha non solo autorizzato i cambiamenti ma ha addirittura dichiarato che la conclusione del film è migliore di quella del libro). Salutato da un'accoglienza di pubblico e critica estremamente favorevole (più di tre milioni di spettatori e ben quattro premi César 2007: miglior regia, miglior montaggio, miglior attore protagonista e miglior musica), Ne le dis à personne merita ampiamente il successo ottenuto: cast da leccarsi i baffi (oltre a François Cluzet spiccano Marie-Joseé Croze, André Dussollier, Kristin Scott Thomas, Nathalie Baye, Jean Rochefort e Olivier Marchal), ritmo senza cedimenti, regia senza sbavature e senza eccessivi orpelli, personaggi costruiti con perizia, crescendo drammatico incalzante e temperatura emotiva elevata benché sotto la soglia del patetismo strappalacrime.
Ma il vero asso nella manica di questo polar dalle venature mélo è l'ambientazione parigina: trapiantando in Francia una storia profondamente radicata nella realtà americana (Tell No One si svolge prevalentemente a Manhattan e dintorni), Canet mostra come nel 2006 il genere francese sia perfettamente in grado di riterritorializzare il thriller USA secondo un'ottica pienamente autonoma. Parigi non ha niente da invidiare a New York come set metropolitano: varietà urbanistica, stratificazione sociale e diversità etnica non difettano alla capitale dell'Esagono. Ecco allora che il faccia a faccia tra il dottor Beck e il latino-americano Hugo Gonzales del romanzo si traduce nel film in un testa a testa tra Alex e un banlieuesard splendidamente interpretato da Jalil Lespert. Ecco che il fatidico appuntamento a Washington Square si trasferisce senza sforzo alcuno a Parc Monceau. Ed ecco, soprattutto, che la fuga del dottor Beck braccato dagli agenti nei caseggiati di Harlem diventa un attraversamento del trafficatissimo boulevard péripherique a cui segue una corsa a perdifiato nel Marché Biron di Saint-Ouen. Lungi dallo scadere in emulazione velleitaria, la dislocazione geografica esalta la frenesia metropolitana e ricalca la pratica del parkour dei traceur parigini: fulgido esempio di risemantizzazione urbana, fisica e cinematografica al tempo stesso. Quello di Canet non è un thriller francofono che copia maldestramente i modelli americani (cosa che avveniva nel 2000 con Six-Pack di Alain Berbérian), ma un polar intessuto di mélo e innervato di action che, oltre a testimoniare il talento del cineasta trentatreenne, certifica l'avvenuto affrancamento del genere dalle influenze statunitensi di inizio decennio. A partire dal titolo: Ne le dis à personne, non Tell No One.
Harlan Coben, Non dirlo a nessuno (Tell No One, 2001), Mondadori, 2002, pp.354, € 9,50
Agosto. Dave ed Elizabeth, venticinquenni sposati da otto mesi, si recano al Lake Charmaine in Pennsylvania per festeggiare il tredicesimo anniversario del loro primo bacio: ogni anno aggiungono una linea nella corteccia di un albero sulla quale hanno intagliato un cuore con le loro iniziali. Celebrato il rituale, si tuffano nudi e raggiungono lo zatterone al centro del lago. Elizabeth torna al pontile da sola, mentre Dave la osserva da lontano. Si sente il rumore dello sportello di un'auto, Elizabeth scompare. Poi grida. Dave si lancia verso il pontile, nuota freneticamente, sale sulla scaletta, viene colpito da una mazza da baseball, al torace e alla testa. Cade tramortito all'indietro, inghiottito dall'acqua. Otto anni dopo. Dave è diventato un pediatra del servizio pubblico ed esercita in un ambulatorio di Washington Heights, un quartiere povero di New York. Non ha dimenticato Elizabeth, ma tra l'impegno professionale e il ruolo di figura maschile di riferimento per il nipotino Mark (figlio della sorella lesbica Linda, ufficialmente impegnata con la vulcanica Shauna) tira avanti senza eccessivi grattacapi. Finché un giorno, alla vigilia del ventunesimo anniversario del bacio a Elizabeth, riceve un'inquietante e-mail da un mittente sconosciuto: "Messaggio: clicca sull'iperlink, ora del bacio, anniversario". E' l'inizio di un viaggio nel passato, tra fantasmi che ritornano e una realtà che si tinge d'assurdo.
Decimo romanzo dello scrittore americano Harlan Coben (classe 1962), Non dirlo a nessuno interrompe la lunga serie dedicata a Myron Bolitar, personaggio a cui Coben ha consacrato dal 1995 al 2000 ben sette thriller. La decisione di sospendere provvisoriamente il ciclo Bolitar si è rivelata azzeccata, dal momento che Tell No One è diventato il suo bestseller e nel 2006 è stato trasposto al cinema da Guillaume Canet col rimarchevole Ne le dis à personne. Trattasi di libro assai avvincente e pieno zeppo di colpi di scena: un vero e proprio page-turner. Siccome mi ha coinvolto più del solito, anziché scrivere una recensione lineare e ordinata, riporto le osservazioni buttate giù durante la lettura. Spero che suggeriscano nella loro caoticità la ricchezza di spunti del romanzo.
SUGGESTIONI AMBIENTALI: i luoghi sono impregnati di ricordi che ne condizionano la percezione senza tuttavia immobilizzarla o renderla poco ricettiva alle novità. In pratica il protagonista approccia gli ambienti filtrandoli attraverso l'esperienza passata ma ne coglie ogni volta particolari inediti o sorprendenti.
ULTERIORITA' NARRATIVA: il racconto è disseminato di segnali premonitori che prefigurano sviluppi futuri. Pur non raggiungendo lo statuto di veri e propri flashforward, queste anticipazioni a bassa intensità stuzzicano la curiosità del lettore e danno il senso di una costruzione narrativa padroneggiata con sicurezza.
ROMANTICISMO ESASPERATO STEMPERATO DA UN'IRONICA CONSAPEVOLEZZA: il rapporto tra Dave ed Elizabeth è all'insegna dell'amore per la vita, della fiducia totale e della comprensione reciproca. E per giunta viene ritualizzato da cerimoniali di una sdolcinatezza inaudita. Ma le potenziali derive sentimentalistiche sono smorzate dall'ironia dell'io narrante, che le presenta in chiave affettuosamente ridicola. Rischio melensaggine evitato.
PROTAGONISTA RAZIONALE, PAZIENTE E COSCIENZIOSO SCARAVENTATO IN UN VORTICE IRRAZIONALE, FRENETICO E DESTABILIZZANTE: il pediatra dell'ambulatorio del servizio pubblico Dave Beck si trova, nell'arco di quarantotto ore, ad essere ricercato da polizia e criminali a causa del fantasma di Elizabeth che si riaffaccia improvvisamente nella sua vita. Come in Fuori orario di Martin Scorsese, un uomo qualunque è gettato fuori dal suo elemento: "Due giorni prima ero un medico coscienzioso che attraversava come un sonnambulo la sua vita. Da allora avevo visto un fantasma, avevo ricevuto e-mail da una morta, mi ero trasformato in un uomo sospettato non di un delitto ma di due, ero scappato dalla polizia, avevo aggredito un agente e avevo cercato aiuto da un noto spacciatore. Quarantotto ore piene, indubbiamente" (p.197).
CENTRALITA' DELLA MEMORIA: tutto il libro è incardinato sulla persistenza dei ricordi e al tempo stesso sulla loro labilità. Sono gli affetti a costituire il collante della memoria: l'aridità sentimentale è il preludio alla scomparsa dei ricordi e alla necrosi interiore, come esemplificato dalla figura del nonno malato di Alzheimer, "un uomo autoritario (...) che ti concedeva il suo affetto in proporzione diretta al tuo successo" (p.29). La ricerca di Dave è interamente tesa ad aggregare attorno al nucleo affettivo del ricordo di Elizabeth una costruzione mentale che lo renda ancora più solido e tangibile, fino a farlo coincidere con la realtà attuale. Per raggiungere il suo obiettivo è costretto a raccogliere il maggior numero di informazioni possibili: interroga familiari e amici di Elizabeth, spulcia la sua agenda, interpella avvocati male in arnese e consulta vecchi articoli di giornale. Paradossalmente, la fonte di informazione che in teoria dovrebbe essere più ricca - internet - è al contrario quella più effimera e inaffidabile, fungendo sì da fattore scatenante (le misteriose e-mail) ma rivelandosi sostanzialmente inutile (l'impossibilità di localizzare la webcam da strada), frustrante (l'indisponibilità dell'articolo del "New Jersey Journal" nell'archivio web della biblioteca) o addirittura deleteria (l'identificatore digitale che spia in tempo reale le navigazioni di Dave).
SGUARDO COMPASSIONEVOLE PER CHI E' STATO COSTRETTO A TAGLIARE I PONTI COL PASSATO, CONDANNANDOSI A UNA VITA DA LATITANTE O DA IMBOSCATO: non solo la delicatezza con cui è descritta l'esiliata Elizabeth, ma anche la figura salvifica dell'Uomo Nero (doppio selvatico di Dave), ex contestatore artefice di un sabotaggio degenerato in tragedia e obbligato a sopravvivere nei boschi per nascondersi dalla legge.
TRATTAMENTO FEROCE PER I PERSONAGGI CHE ANTEPONGONO LA CARRIERA AGLI AFFETTI: nonostante Coben castighi le figure ciniche con punizioni inappellabili, non le priva tuttavia di ragioni personali o di opportunità di riscatto. Tutti i personaggi del libro, anche quelli più malvagi, godono del beneficio del dubbio ed esprimono timori o ricordi di lacerante umanità (il racconto della tortura subita dalla madre di Eric Wu).
STILE: fraseggio semplice e spedito dall'andamento prevalentemente paratattico che non disdegna però un periodare più arioso e ricco di subordinate.
RITMO: divisione in brevi capitoli (46 in tutto) che scandiscono la vicenda con incalzante rapidità.
PUNTO DI VISTA VARIABILE: narrazione in prima persona con incastro di sguardi. Se Dave è la coscienza centrale del romanzo (è lui a dire "io" ed è su di lui che il racconto è focalizzato), non mancano passaggi in cui una stessa situazione viene osservata da prospettive diverse che finiscono per ricongiungersi a tempo debito, nel tipico procedimento cinematografico del montaggio alternato (la sequenza narrativa dell'appuntamento in Washington Square è concepita in questo modo).
IRONIA E SARCASMO: a getto continuo, anche nei momenti di maggiore tensione. "Per essere più annoiata di così avrebbe dovuto ordinarglielo il medico" (p.118); "Non stavo fissando lo sguardo di un altro essere umano o di un animale. Quegli occhi appartenevano a qualcosa di inanimato. Se si potesse guardare negli occhi un armadietto metallico si ricaverebbe la stessa impressione" (p.230); "Non me la cavo granché bene con i principi assoluti della morale. Per me esistono delle sfumature, io scelgo di volta in volta" (p.230); "Mi mise una mano sulla spalla. «Tu o loro, Doc. Premi il grilletto e non sollevare il dito». Non esistevano zone grigie, per Tyrese" (p.291).
Il giovane attore Guillaume Canet (che qui impersona lo scomodo ruolo di Philippe Neuville), con questo secondo lungometraggio da regista, ha sbancato il botteghino in patria trasponendo un romanzo dell’americano Harlan Coben (quello della serie con Myron Bolitar), il cui plot misterioso e colmo di sorprese è davvero un portento. Canet pare rifarsi molto al cinema americano, ma lo declina del tutto ad un immaginario francese: modi e costruzione del racconto, cioè, richiamano i thriller anglosassoni solidi, pieni di colpi di scena, con l’innocente incastrato e un ritmo sostenuto, con ingredienti eccezionali seppur credibili, con psicologie semplici, fra grande amore e grandi cattivi, senza troppe pause riflessive, semmai qualche sprazzo lirico evocativo per sottolineare certe emozioni dei personaggi. Eppure (e nonostante la produzione esecutiva di Luc Besson) non scimmiotta per niente i cugini hollywoodiani, prediligendo situazioni poco artificiose, dettagli sapienti ed esemplari, recitazioni credibili e realistiche, vale a dire non troppo archetipiche/convenzionali. Ciò non toglie che l’opera resti impressa, più che per la regia in definitiva scolastica, per una sceneggiatura (Canet con Philippe Lefebvre) che riesce a stendere il suo velo di mistero giocando con il fuori campo prima e i flashback (più un salto temporale di otto anni) poi. E, ovviamente, con quei “non dirlo a nessuno” che creano equivoci e false piste. Intrigante ed appassionante.