
TRAMA
Bruno, quarantenne assicuratore depresso, oberato da un debito contratto con un losco direttore di banca, vede la sua vita stravolta da un incontro con Luca, un giovane che sembra sapere molte cose di lui.
RECENSIONI
Il maggiore problema del film di Franchi, reduce dal successo riscosso in vari festival dal suo precedente La spettatrice e che è approdato al concorso veneziano accompagnato da molte aspettative, è quello che affliggeva la sua precedente opera, peraltro più compiuta di questa, ovvero una sostanziale debolezza di scrittura e l'incauto affidamento della decodifica di molti elementi dell'intreccio alle immagini e alle atmosfere: si genera dunque un clima narrativo che si vorrebbe laconico e sospeso e che invece appare soltanto artificioso supportare, con una patina di posticcia problematicità, un costrutto scricchiolante e presuntuosetto che nasconde, dietro la falsa apparenza del rinunciare a dire di più, una incapacità vera a dire di più. Nessuna qualità agli eroi è un film sulla paternità ingombrante (i due protagonisti, ciascuno mediocre a suo modo, facce della stessa medaglia, ossessionati dalla figura paterna, forse sono la stessa persona o forse no - Luca è solo un'invenzione di Bruno? -) e negata (Bruno non può avere figli), sulla depressione e sulle ferite del passato, un film che Franchi vorrebbe freddo e che, ai fatti, risulta glaciale perché vuoto: tanto più vuoto quanto più si tenta di spacciarci questo vuoto per qualcos'altro (il ritratto di una sofferenza forse due, il tentativo di dissipare il passato bonificando il presente, il senso di colpa da abbattere). I travagli interiori dei protagonisti vengono vomitati platealmente, palesemente messi in scena, ma niente di quello che accade o di quello che si mostra ce li sostanzia, al massimo si riesce a imbastire un fragile ed elementare psicologismo a sorreggere questa ostentata e sterile estetica del tormento. E mentre la musica tocca tonalità altissime per poi sparire all'improvviso (a creare allarme e una tensione che non ci sono) e gli attori si muovono attoniti sulla scena (presumibile scelta registica: Todeschini se la cava, Germano è rigido, Jacob non pervenuta) e ci si perde in certo vacuo e tendenzioso onirismo (la scena della masturbazione 'vuole dire' palesemente) si evidenzia come insanabile la sfasatura tra la forme e le soluzioni visive usate, non disprezzabili e sicuramente più ricercate della media dei film italiani, e il contesto e la sostanza, del tutto velleitari (questo sì, è dato nostrano) alle quali quelle scelte stilistiche vanno ad applicarsi.
