Documentario

NAQOYQATSI

Titolo OriginaleNaqoyqatsi
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2002
Durata69'
Sceneggiatura

TRAMA

“Na-qoy-qatsi” sostantivo della lingua hopi che sta per “l’un l’altro uccidere molti vita” ovvero “vita in cui ci si uccide l’un l’altro” 2. Guerra come stile di vita. 3. (Interpretazione) violenza civilizzata.

RECENSIONI

Dopo l'ormai mitico KOYANISQAATSI (un vero archetipo: un cult saccheggiato e straimitato, un perfetto ritratto degli scenari urbani e naturali del Nord America) e il seguito terzomondista POWAQQATSI, molto ci si attendeva da questo ultimo capitolo della trilogia concepita da Reggio e  musicata da Philip Glass, ma ben poco ne giustifica l'attesa. Il tema di NAYOAQATSI è stavolta la globalizzazione, la rappresentazione del mondo ormai dominato dalla comunicazione: la prima parte, tutta un trionfo di codici numerici e realtà virtuale, è la metafora della metamorfosi, del corpo che si trasforma; la seconda presenta immagini di atleti in azione e punta sulla rappresentazione, in chiave pessimista, della competizione; la terza, centrata su una navicella spaziale, conduce al nocciolo del film: il parossismo tecnologico, la guerra, la violenza civilizzata. Ma se la grande forza di KOYANISQAATSI, la sua potenza, stava nella nudità delle immagini e nella perfetta resa dei cicli e dei ricorsi della vita della metropoli e della natura attraverso la pura e semplice velocizzazione del materiale visivo che, in perfetta sintonia con i fiumi di note di Glass, diveniva un trip di fascino ipnagogico, in questo caso, in linea con i concetti espressi peraltro, le immagini (quasi tutte di repertorio) sono state trattate, solarizzate, virate in negativo, decolorate, in ogni caso camuffate pervenendo a un effetto finale che, sorprendentemente, non sorprende affatto. E' tutto ordinariamente televisivo, nulla che non si veda nelle sigle di un qualsiasi programma scientifico, una serie di quadri molto prevedibili, a tratti di un déjà-vu quasi imbarazzante.  E' in questo modo che nel cuore (ma davvero) ci restano solo i primi minuti, il lento scrutare in un enorme edificio in rovina sulle note minimaliste di Glass , suonate dal violoncellista Yo Yo Ma, il  maestoso passare della mdp da una finestra all'altra e il suo reclinarsi improvviso in una deformante prospettiva da brivido. Tutto il resto, a parte qualche sprazzo (penso ai quadri che si liquefanno e si trasformano in figure sempre cangianti), è tremendamente scontato (non mancano le immagini pubblicitarie, le sequenze di volti e altri standard in linea), nonostante le sofisticherie tecnologiche, e dà all'opera astratta di Reggio il sapore di una minestra scaldata al microonde.

Nel 1983 Godfrey Reggio sperimenta con successo un cinema irraccontabile, basato sulla potente combinazione di musica ed immagini per trasmettere i ritmi della natura e i pericoli del progresso. Il film è "Koyaanisqatsi", che ottiene un discreto successo anche in Italia. La tappa successiva è "Powaqqatsi" nel 1988, mai distribuito invece in Italia, ed ora la trilogia si conclude con "Naqoyqatsi" (prodotto dal sempre più presente Steven Soderbergh) che si conferma un viaggio di grande fascino.
Più efficace dove sono originalità e bellezza ad avere il sopravvento (gli anelli di fumo, le tante immagini che sfumano in cangianti acquerelli, i viaggi nei frattali), perde in intensità quando cerca a tutti i costi di lanciare un messaggio contro i rischi di una disumanizzazione tecnologica. Oppure quando ricorre all'ennesimo campionario di varia umanità, soffermandosi sull'espressività di singoli volti. Addirittura kitsch il collage di miti del millennio, attraverso i primi piani di sosia di personaggi famosi. L'inizio è bellissimo e potente, con una Torre di Babele che racchiude simbolicamente l'umanità di cui Godfrey Reggio si accinge a parlare. Poi, però, il regista non riesce a mantenere lo stesso livello di fascinazione, cercando per forza di dire qualche cosa che vada al di là di un viaggio nelle sensazioni.
Di diverso, rispetto al precursore "Koyaanisqatsi", c'è un cospicuo utilizzo della computer-grafica. Scelta che ha sicuramente facilitato la realizzazione, garantendo una pressoché totale libertà espressiva, ma ha un po' raffreddato il risultato. In ogni caso, davvero belle e coinvolgenti, proprio perché svincolate dall'esposizione di una tesi e libere di dare sfogo ad una ricezione irrazionale, le musiche di Philip Glass, arricchite dalla presenza del violoncellista Yo Yo Ma.