Commedia

N (IO E NAPOLEONE)

TRAMA

Nel Maggio 1814 Napoleone giunge all’Isola d’Elba, accolto da una popolazione locale festante. L’unico che dichiara apertamente di odiarlo (e che sogna di ucciderlo), il maestro elementare Martino Papucci, viene nominato bibliotecario di corte…

RECENSIONI

Quale trattamento ha subito il bel romanzo di Ferrero? “Liberamente tratto”, si legge nei titoli di testa. In effetti, fatto salvo il fulcro narrativo, sono molte e sostanziali le libertà che gli sceneggiatori si sono presi in merito alla storia e ai personaggi. Quel che si nota è anche, però, una parziale virata di registro: la prosa asciutta ed elegante del libro, che è solcato da onnipresente ma carsica ironia, è stata traslata in un affresco meno Storico e serio(so) della fonte letteraria. Io e Napoleone, a differenza del romanzo, non disdegna infatti la situazione comica “pura” [il gag ripetuto del ménage (im)possibile Ceccherini-Impacciatore] né la battuta facile o la simpatica volgarità. Virzì resta insomma sostanzialmente fedele a se stesso e la sua volontà di inserirsi nella tradizione della commedia all’italiana “alta” (nel film c’è anche una fucilazione-doccia fredda à La Grande Guerra, per dire) non mostra tentennamenti di sorta. Appurata questa coerenza di fondo, è però innegabile che la mira del regista si sia un po’ alzata e che questo di N. sia il suo progetto, complessivamente, più ambizioso. Non si tratta di una banale questione di budget più elevato né delle difficoltà produttive/organizzative legate al concetto stesso “film in costume”. C’è decisamente di più.

Una questione di stile

C’è intanto una sempre maggiore cura registica. Si prenda l’incipit: dal sogno (fotograficamente) accecante di Martino si passa a un breve ed elegante piano sequenza che ci introduce al mondo del protagonista (il risveglio dalle sue ossessioni, il suo habitat spiato dalle finestre, le sue carte). Si consideri ancora la voglia di “giocare con la forma” palesata nella sequenza più bella del film: un tableau vivant quadro nel quadro/specchio, perfetto inganno per l’occhio, su musica apparentemente extradiegetica che poi si rivela intra-, perfetto inganno per l’orecchio, introduce un importante dialogo nel quale N., truccato e vestito da Napoleone, si strucca si sveste e piange, sembra aprirsi definitivamente al suo oppositore e, dunque, aggiungere un terzo disvelamento contenutistico e umano ai due precedenti formali e preparatori. Virzì sembra insomma fidarsi del (proprio) Cinema e non cede, ad esempio, alla tentazione di abbondare con la voice over che pure l’adattamento di un romanzo in forma di diario sembrava maliziosamente suggerirgli. Non solo. Al di là di questo progresso stilistico, non si può fare a meno di notare una disincantata universalizzazione dei temi da sempre cari al regista, fin da La bella vita alle prese coi vizi e le (molte) virtù della provincia e con una lotta di classe socio/politica fortemente contemporanea (si veda ancora la voce commedia all’italiana). Qui il tutto è riproposto ma al retrogusto amaro del passato (l’Ovosodo che rimane in gola e non va né in su né in giù) si è sostituita una resa (in)condizionata da battaglia di retroguardia, priva dell’impeto e della purezza di un Tanino o di una Caterina. Il maestro Martino, infatti, è sì guardato con macchina da presa empatica ma l’immedesimazione non è mai “totale” come in passato e quando lo è ha un sapore frustrante e arrendevole. Perché?

B. Io e…

Napoleone Bonaparte è Silvio Berlusconi? La tesi è incoraggiata sia dal romanzo che, ancora di più, dal film. Checché ne dica Ferrero, infatti, definire N.B. “l’Unto del Signore” [cit.] e aggiungere poco dopo che “Egli” sarebbe “convinto che tutto si può e si deve comprare” [cit.] non è molto meno tendenzioso di inserire battute come “miracolo elbano” o “mi consenta” (tra l’altro, gli unici due riferimenti espliciti del film). La lettura berlusconiana, insomma, è pienamente legittima. Visto in quest’ottica, come va letto Io e Napoleone? Martino pensa di odiarlo ma ne è progressivamente attratto e affascinato. Vorrebbe ucciderlo ma, di fatto, gli prolunga l’esistenza (lo salva da chi vorrebbe accopparlo davvero). N.B., dal canto suo, si rivela più consapevole e umano di quel che sembra, ed è perfettamente conscio della sua natura di specchio nel quale il popolo riflette la propria voglia di riscatto (lo dice a chiare lettere dopo la visita al mercato) – ossia – Bonaparte, sì, è o potrebbe essere Berlusconi. Nella fattispecie: Berlusconi è un Napoleone decaduto, aggrappato alle vestigia di un passato glorioso quanto complesso e ambiguo. B&B sono comunque simulacri di Potere. Questo Potere si può “odiare” ma nondimeno se ne subisce il fascino, si può provare a lottare ma si esce sconfitti perché quella gente che si vorrebbe “liberare” non vuole essere liberata, è essa stessa specchio specchiato di un Potere ambito anche nella sua pochezza e futilità. E le idee si confondono. Non c’è più una parte dalla quale stare con convinzione, la voglia di lottare scema e si finisce per venire inghiottiti dal cosiddetto Sistema che si voleva combattere. Martino, nel finale, è (quasi) un novello Piero Mansani che abdica dai suoi sogni, si arrende alla routine lavorativo/esistenziale e sposa una donna che potrebbe essere qualunque altra. Ma ha un sussulto. Un sussulto eroico, libertario, democratico e vendicativo e sembra finalmente deciso ad uccidere B… Peccato sia già il 6 Maggio 1821, ovviamente tardi per cambiare qualunque Storia.