Drammatico

MOTHERLAND

Titolo OriginaleAna Yurdu
NazioneTurchia/ Grecia
Anno Produzione2015
Durata98'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Nesrin è una donna altoborghese che lascia la città e ritorna in Anatolia, al villaggio natale, per terminare il suo romanzo e realizzare il sogno di essere una scrittrice. Quando la madre appare all’improvviso, non invitata, e rifiuta di andarsene, la scrittura di Nesrin si blocca e le sue dolci fantasie sulla vita in campagna diventano amare. Le due donne dovranno affrontarsi e scoprire gli angoli più bui dei rispettivi mondi interiori.

RECENSIONI


La Turchia è ormai protagonista indiscussa del panorama cinematografico internazionale e non manca festival che non presenti nuove promesse o talenti già affermati. Motherland è l’opera prima di Senem Tüzen e non si distacca molto da quello che è diventato ormai un cliché tematico e visivo: fotografia livida, esterni rurali, interni fatiscenti, contesti familiari divisi tra tradizione e innovazione con relativi scontri generazionali, assenza di una vera e propria storia. Il film è incentrato sul rapporto tra una madre e una figlia e i suoi punti di forza sono nella caratterizzazione delle due protagoniste. La madre è una donna che non è mai uscita dai ranghi, attenta al giudizi degli altri, apparentemente docile in realtà dominatrice, succube di una mentalità maschilista che non ha mai messo in discussione e con una fede cieca nei dogmi religiosi. La figlia, invece, si è da poco separata, sta cercando di scrivere un libro, avrebbe bisogno di stare un po’ da sola per ritrovare un equilibrio, ma in seguito a un incidente stradale si ritrova, non invitata, la madre ad accudirla.


Il contrasto tra una mentalità aperta al nuovo (la ragazza ha vissuto a Istanbul, lontano dal villaggio di origine) e un’idea della vita a senso unico produrrà ovviamente scintille. I confronti/scontri tra le due donne sono i momenti migliori del film. L’invadenza dei genitori e la ritrosia dei figli non hanno confini geografici, sono in grado di creare empatia a ogni latitudine, e confermano, ce ne fosse bisogno, la famiglia come covo di tutte le insidie. Meno approfondito il fuori, con un rapporto con una donna del villaggio accusata di essere una prostituta che cade nel vuoto, la ritrosia delle vicine di casa appena accennata e un’interessante seduzione al limite della molestia alla fine del film. Una sequenza prolungata tesa a mostrare un personaggio femminile decisionista e tutt’altro che remissivo, un compendio ai limiti del didascalico dell’abisso che separa il nuovo (il diritto di godere, di esistere) dal vecchio (la dominazione, l’annullamento, il silenzio). Una conclusione forse un po’ esagerata, dato il contesto e le dinamiche in cui è inserita, ma volutamente provocatoria e in grado di accordarsi all’urgenza comunicativa che anima l’opera.