Biografico, Drammatico, Recensione

MOLLY’S GAME

Titolo OriginaleMolly's Game
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2017
Durata140’
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

Molly Bloom: promessa dello sci fermata da un incidente e, da adulta, arrestata per tavoli da poker clandestini in cui è coinvolta la mafia russa.

RECENSIONI

Con The Social Network e Steve Jobs forma un’ideale trilogia biografica sorkiana con Io a pezzi, vetri infranti non da ricomporre ma da osservare nel modo in cui riflettono diversamente la realtà. I registi David Fincher e Danny Boyle incollavano i frammenti sul muro e, osservandoli da lontano, il quadro era compositamente chiaro. La prima regia di un virtuoso della scrittura, invece, sorprende nell’optare per una struttura che ambisce a perdersi nel labirinto, a costo di essere urticante: due ore e mezza di durata, spossante Io narrante, incastro di flashback che, dal tavolo da poker, si interfaccia con i ricordi di infanzia e un “futuro” a colloquio con l’avvocato. Una linea temporale terremotata che suggerisce un profilo psicologico, se non un quadro clinico (il padre è psichiatra): fra obbligo all’eccellenza e resilienza, l’Ego del Vincente frustrato, una volta constatato il gioco truccato, forse, decide di barare. Se le sfaccettature del carattere sono indispensabili, spiazza che tale taglio sia adottato anche per la vicenda “giudiziaria”, con oculato centellinamento e celamento delle informazioni dietro bombardamento delle stesse. Tenendo conto anche dei registri inidentificati, è una forma estetica inedita (per Sorkin) che ammanta le tracce di uno stile noto, esasperandolo in dati indisponibili e relegando in pochi passaggi (con Idris Elba) la commedia sofisticata con battute fulminanti. Lo spirito sorkiano edificante, che si dibatte in confronti dirimenti da “tribunale”, suona l’unica nota stonata, la sentenza finale favolistica: bacia anche, però, una delle scene più toccanti, la seduta terapeutica padre/figlia in cui il trauma di un’intera vita è dissipato. Jessica Chastain, Molly ‘Regina del Poker’ Bloom come da autobiografia, è immensa in un’opera dalla parte del genere femminile se non femminista: l’ossessione del Campione nasce da una competizione indotta con le figure maschili nell’infanzia; il poker è mezzo per controllare, simbolicamente, la potenza dell’altro sesso, fra autoritaria figura paterna e prevaricazioni dei colleghi di business. Molly è come il gioco di Sorkin: per come si presenta non persuade, ma soggioga nella sua alterità e rivela la tenacia (l’ultimo flashback sull’incidente), l’altura morale in nome del “nome” che resta, al di là di tutto, e va difeso ad ogni costo (citando La Seduzione del Male).