TRAMA
Seymour Moskowitz, stimato parcheggiatore, si trasferisce da New York a Los Angeles. Qui conosce Minnie Moore, una bella signora che lavora in un museo e ha una relazione moribonda con un uomo sposato. È scontro, amore, matrimonio.
RECENSIONI
Il prologo di una storia d’amore: l’infelicità pregressa cui si cerca invano di dare un taglio netto, la diffidenza del primo contatto, gli scontri più o meno pretestuosi, i furtivi riavvicinamenti, le ossessioni (mal) dissimulate, i sottintesi che feriscono, la tenerezza di un progetto “fallimentare” (il pranzo delle consuocere) che sboccia quasi per miracolo (solo un sogno a occhi aperti, o una delle soluzioni possibili?) in un quadro d’idilliaca “normalità”. Se è vero che, come sostiene Minnie, i film mentono, rinchiudendo le persone in trappole deliziosamente mortali, il cinema (quello di Cassavetes, almeno) trova brandelli di verità nel suo andamento frenetico, sincopato, in apparenza folle e in realtà lucidissimo nelle sue scombiccherate, irresistibili geometrie. Seymour è “l’uomo in più”, un segnaposto umano (la soggettiva dall’interno dell’auto con cui si apre il film) cui le persone non fanno caso, se non per riversare su di lui torrenti di frustrazione (cfr. l’avventore logorroico, l’accompagnatore di Minnie e naturalmente la tremenda Jewish mom); Minnie è, malgrado le apparenze, il suo doppio, inerme pupazzo nelle mani di un uomo spos(t)ato che ne ricava prima piacere, poi narcisistico (auto)compatimento (lo schiaffo alla presenza del figlio). L’esuberanza di Seymour (che è finta, “copiata” da quella dell’avventore, e in quanto tale destinata a esiti disastrosi) è la maschera di una timidezza (riflessa nella ritrosità della bimba in aereo) che fa il paio con l’acidità di facciata di Minnie, gli occhi tenacemente difesi dagli occhiali da sole. Dopo l’impatto devastante del primo incontro (avvolto in un’aura di scanzonato poliziesco, con la camionetta di Seymour che “incastra” la malcapitata Minnie sbarrandole il passo), il duello di personalità assume un piglio screwball, ora tenero (l’appuntamento in gelateria) ora amaramente feroce (la lite nel parcheggio del dancing, la squallida scappatella di Moskowitz), trovando in un gesto involontario, insieme comico e tragico, il magico momento che suggella un (im)possibile equilibrio, che neppure il richiamo del materno sangue riesce ad avvilire (non del tutto, almeno). Sostenuto dalle prove senza aggettivi di Cassel e Rowlands, Minnie & Moskowitz è uno di quei film che termina dando la sensazione di essere appena iniziato, tanto è sfuggente la sua natura e perfetta la sua forma. Un regalo per i sensi.