TRAMA
Un’entomologa sventa un’epidemia portata dagli scarafaggi creando una nuova genia di insetti che, tre anni dopo, si ripresentano “evoluti”.
RECENSIONI
Talento figurativo non comune: il messicano Guillermo Del Toro, dopo un interessante esordio horror nel 1992, sbarca nella Hollywood big-budget e dimostra tutta la sua maestria iconografica (il colore marrone-depresso degli scarafaggi; la New York fetida fra piogge sporche, fogne e sotterranei), narrativa (la tensione claustrofobica e la pura paura) e tecnica (montaggi interni dopo epici dolly, movimenti di macchina fluidi e creativi plongées, tempi sonori e di ritmo). Non a caso, all’università, sfornò un volume su Hitchcock, ricordato anche dagli elaborati titoli di testa alla Saul Bass e da un’amabile citazione di La Finestra sul Cortile (il bambino che osserva “l’assassino” nella strada). Esperto di trucchi (in patria aveva fondato una compagnia), non lesina in orrori “intestinali” che giocano anche sulle repulsioni ataviche dello spettatore alla vista di uova d’invertebrati e di schifosi insetti giganteschi e mortali. Il soggetto non è da buttar via, il suo trattamento lascia il tempo che trova, nel momento in cui trasporta l’originale vena citazionista dell’autore, che sull’accumulazione annulla il plagio (gli scarafaggi con le ombre del mantello del Nosferatu di Murnau e che s’aggirano per i sotterranei come Il Fantasma dell’Opera di Julian), in zone senza idee ricalcanti troppo Alien, soprattutto il terzo capitolo di David Fincher. Se si esclude l’efficace ma standard parte finale, l’opera si fa apprezzare per come evita le banalità di genere pur adottandole, con personaggi peculiari (Giannini e il bambino “speciale”, il poliziotto) e altri che potrebbero esserlo (dimenticati a favore dello spettacolo), con false piste o partenze in vana attesa di collegamento (l’inizio alla Il Silenzio degli Innocenti; le icone religiose infrante alla L’Esorcista con creature chiamate Judas; i mostri di Frankenstein che “mimano” con delle maschere). Privato del final cut, con ingerenze continue dei fratelli Weinstein sulle scene da girare, Del Toro resta schiacciato dai bacarozzi dello stereotipo, ma è da tenere d’occhio.
