Commedia, Recensione

MATILDA 6 MITICA

Titolo OriginaleMatilda
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1996
Genere
Durata93'

TRAMA

Ignorata, nel migliore dei casi, dalla famiglia di teledipendenti in cui ha avuto il torto di nascere, Matilda ama i libri e scopre di possedere poteri quasi magici…

RECENSIONI

È possibile sferzare la realtà attraverso il cinema? Certamente, a patto di abbandonare ogni pretesa naturalistica in favore di un’astrazione (non) soltanto apparente. DeVito, sette anni dopo il massacro de La Guerra Dei Roses, affronta con immutata, genuina perfidia la deriva demenziale cui sembriamo un po’ tutti lieti di abbandonarci. Se la storia d’amore odio e morte dei coniugi Rose è edificata dal trash televisivo (identica la premessa d’amore romantico, uguale la rissosa conclusione da talk show), Matilda deve vedersela con adulti risucchiati dal tubo catodico, mostruosi pupazzi di grottesca incoscienza che il regista schizza con cristallina cattiveria (e una dose considerevole di autoironia, visto che affida i ruoli più odiosi a se stesso e alla propria vera moglie, Perlman). In un orizzonte contraffatto dal culto del denaro (meglio se di provenienza truffaldina) e da una prevaricazione reciproca odiosa e sterile, la ragione può vincere solo con l’aiuto di un elemento straordinario e saldamente ancorato alla normalità, o a quella che dovrebbe essere la normalità, vale a dire al sistema di valori proposto dalla protagonista, che non si accontenta di vedere a distanza (come i genitori, o gli stupidi agenti del governo) ma fa di tutto per conoscere in maniera approfondita, cercando di migliorare il (proprio) mondo. Per tratteggiare l’abissale superficialità e la clamorosa assenza di scrupoli di un mondo deviato, DeVito ricorre ai modi classici del cartoon e dello slapstick (le “punizioni” cui è sottoposto il padre), tratteggiando un universo da fiaba (nera, a tratti sadica) che sa essere acidamente reale senza scadere in grevità da fiction. Alcune invenzioni (i due poliziotti, la torta imposta, la spedizione notturna nel palazzo dell’Orchessa, con annessi echi hitchcockiani) sono esilaranti quanto terribili, e, se non tutti i personaggi sono adeguatamente sviluppati (la giovane maestra rimane una presenza abbastanza superflua e lievemente noiosa), la magia nasce con deliziosa naturalezza dalle immagini, aggiungendo bellezza e(/di) senso al tessuto narrativo (il titolo plasmato dall’eroina nell’incorreggibile indifferenza generale). Cast eccelso.

Il Danny DeVito regista interpreta alla perfezione lo spirito gotico e sanamente feroce (e divertente) della fiaba per l’infanzia di Roald Dahl, inventandosi un orco cattivo (la preside ex-lanciatrice di peso e nazistoide) degno della Anne Ramsey di Getta la Mamma dal Treno. È nelle sue corde, anche, il ritratto delle famiglie disfunzionali (La Guerra dei Roses) e, fra orrore, comica, fantasy, cartoon e grottesco, deforma in primissimo piano i volti e nei plongée gli ambienti, rincorre la caricatura, sfrutta sapientemente la soggettiva ad altezza bimbo. Come nel suo film d’esordio (La Guerra dell’Audience), deprezza il piccolo schermo, spezza una lancia a favore dei libri, della cultura contro la cafoneria, dell’intelligenza che sfrutta il cervello a pieno regime (i poteri telecinetici). La cultura fa compagnia, è bellezza contro abbruttimento, è potere del diverso contro i veri mostri, dona coraggio. L’invito, per l’infanzia abbandonata e non capita, è rincorrere l’indipendenza, mediare la razionalità con il sentimento, ribellarsi, di sana vendetta, contro la violenza, l’odio, l’immaturità degli adulti. Una volta rinvenuti i veri legami, che raramente sono quelli di sangue, la persona intelligente sa anche che il gioco eseguito con serenità (lo studio è solo un mezzo) è il passatempo più sano. Magnifica la sequenza horror-grottesca nella villa della preside, fondamentale la bravura della piccola Mara Wilson (DeVito è anche interprete di suo padre, nei soliti panni dell’affarista senza scrupoli ed egoistico).