TRAMA
Londra, 1814. La giovanissima Mary, futura autrice di Frankenstein, incontra il poeta Percy Shelley e decide di fuggire con lui, costi quel che costi.
RECENSIONI
Il paradosso del film Mary Shelley è sintetizzato nel suo sottotitolo italiano: Un amore immortale. Da un lato, si induce a credere che la pellicola metta in scena una grande storia d’amore, dall’altro, la parola immortale richiama la sfida lanciata alla morte in Frankenstein. Niente di più forviante, ma anche di più confuso. Cos’è Mary Shelley? Un film biografico, la storia della genesi di un capolavoro letterario? Poco e male. Somiglia più ad un maldestro Young Adult, con un improponibile protagonista maschile adatto ad un teen movie di serie B ed una serie di ingannevoli ami dark/fantasy che poi non avranno opportuno seguito - l’inizio ambientato in un cimitero, le storie di fantasmi, gli incubi della futura scrittrice. Il problema non è tanto che sia stata venduta come storia romantica, laddove racconta al contrario il disincanto e la delusione dopo l’innamoramento, quanto che sia effettivamente girata per un po’ come se lo fosse, per poi provare a cambiare registro senza alcuna credibilità, fino ad uno stonato rientro nei ranghi nel finale (un bacio e nessun rimpianto). E’ come se si girasse la storia di un legame sentimentale un po’ come Titanic e un po’ come Revolutionary road, nello stesso film.
In questa confusione il complesso e ricchissimo personaggio di Mary Shelley viene messo a fuoco quasi sempre maldestramente, tra suggestioni e semplificazioni. Il contrasto tra i lavori materiali svolti in casa e l’amore per la lettura, che tutto mette “a portata di mano” delinea una donna fuori posto, bisognosa di evasione. Il contesto famigliare che dovrebbe creare le basi per una personalità anticonvenzionale viene descritto in modo abbastanza rozzo, affastellando informazioni: la madre morta, il senso di colpa per esserne stata causa involontaria, i genitori filosofi ed impegnati, il loro legame irregolare e biasimato. La sedicenne Mary afferma di non aver paura né di Dio né dei suoi tirapiedi terreni, non le importa della reputazione, teme solo ciò che può allontanarla dai suoi desideri, si batterà per il diritto di ognuno a vivere come crede. Viene descritta per frasi fatte, insomma, per giunta contraddette da una parte dei comportamenti che seguono e persino dalla scelta di un’interprete non adatta al ruolo (la pur brava Elle Fanning). Le sue scelte trasgressive per l’epoca arrivano meccanicamente e senza percorso di maturazione, eredità genetica di una madre anticonformista e femminista.
La trasposizione narrativa delle idee coltivate dal poeta e dalla scrittrice sul matrimonio, sulla donna, sul libero amore, genera risibili scambi da polpettone rosa con insistenti venature dark. La questione femminile viene toccata (soprattutto con la difficoltà di pubblicare un romanzo scritto da una donna), ma ancora senza costanza e slancio.
Ne esce un quadro spesso al limite del ridicolo involontario, con ragazzi che senza denaro fanno figli, bevono e proclamano poesie, in compagnia di un Lord Byron caricaturale che non verrà mai dimenticato troppo in fretta (in una scena, la Shelley gli fa anche la morale).
Gli agganci al tema della vita dopo la morte sono maldestri, dalla seduta spiritica immaginata dalle ragazzine ai riferimenti onirici. Della Shelley si mostra l’interesse per la scienza, la presenza ad uno spettacolo che descrive il galvanismo, la lettura di testi medici. Alla fine dei fatti, oltre alla fascinazione per le atmosfere oscure, l’ispirazione per il romanzo sembra venire soprattutto dagli uomini mascalzoni dei quali le donne restano vittime, visti come veri e propri mostri. Il romanzo è prima di ogni altra cosa una storia di solitudine e abbandono, opera di una giovane donna convinta di essere venuta al mondo per essere abbandonata e di essere irrimediabilmente sola.
L’impresa non facile di portare sul grande schermo un’esistenza più incredibile di qualunque film appare irrimediabilmente fallita, per l’incapacità di regia e sceneggiatura di affrancarsi da un linguaggio che strizza l’occhio al pubblico adolescente abituato alle atmosfere dark e sfuggire alla superficialità della somma di elementi buttati sulla scena senza costrutto.