TRAMA
L’annunciata separazione dei loro amici Jack e Sally, sposati da quindici anni, influenza la vita coniugale di Gabe e Judy. Jack va a convivere con una donna molto più giovane, Gabe flirta con una delle sue allieve, Judy presenta a Sally un collega di lavoro da cui lei stessa si sente attratta…
RECENSIONI
Il film della crisi Allen-Farrow (uscito nel '92, a ridosso della separazione e degli strascichi legali ben noti a tutti) rischia di essere considerato solo un documento, la cronaca del fallimento di una relazione tra due persone famose. Ma, quando si parla di cinema, la prima impressione è quella che non conta. Se è vero che alcuni elementi (come la presenza di nuove partner molto più giovani delle mogli) richiamano quasi inevitabilmente la cronaca, il resto è pura fiction, anche se ritratta con uno stile asciutto, per nulla enfatico, non urlato ma non meno implacabile nei confronti di idee, sogni, finzioni. Spiati con ossessiva frequenza da una macchina a mano che evoca contemporaneamente l'atmosfera da filmino familiare ed il documentario "di strada" (e Allen ha ben presente la strategia "entomologica" di Cassavetes e, ovviamente, Bergman), i personaggi subiscono un'ulteriore tortura ad opera di un misterioso intervistatore, sempre fuori campo, che li porta in contraddizione (un'eco dell'invadenza televisiva, sferzata da tante battute? una sorta di confessore laico?). La calma apparente degli interni sofisticati di Manhattan, fotografati con elegante grigiore dal solito Di Palma, si frantuma sotto i colpi della macchina da presa, feroce macchina della verità che rivela i primi piani dei personaggi (particolarmente quelli femminili) nei momenti d'incertezza o menzogna e si muove a balzi, agitata dal mare forza nove delle nevrosi e delle frustrazioni prodotte dalla vita in comune. I dialoghi, come al solito brillanti ma stavolta particolarmente amari, si intrecciano più affannosi del solito, quasi a mascherare (ma è pura illusione) il vuoto esistenziale e l'impossibilità di costruire un rapporto adulto. In un universo abbandonato da un dio beffardo (che "gioca a rimpiattino", dice Gabe all'inizio, con gli uomini), l'unica soluzione per i problemi matrimoniali è: tacerli, e sperare che funzioni. Spietatamente geometrico (due coppie mature, due tentate separazioni, due giovani donne, un solo uomo per due donne in crisi da pre e/o post abbandono), maliziosamente umoristico (il parallelo tra la vicenda dei protagonisti ed il romanzo, questo sì autobiografico, di Gabe), sconsolatamente cechoviano nell'affidarsi al meccanismo rivelatore del tempo, che finisce per dimostrare i veri obiettivi dei protagonisti. Una sola nota di speranza: i genitori di Rain, insieme da venticinque anni, ma di loro non sappiamo mai di più. Perché non si può sapere di più, non esiste una ricetta per la felicità. Nell'eccellente cast, che abbina facce tradizionalmente "alleniane" (Ron Rifkin, lo psichiatra, Blythe Danner, la madre di Rain, oltre naturalmente a Woody e Mia) e nuove leve di gran nome (Liam Neeson, il regista Sidney Pollack, la bravissima Juliette Lewis), spicca la cantante e attrice Judy Davis, futura protagonista di "Celebrity": ironica, sexy, con una piega della bocca colma di disperazione ed umorismo nero. Da non perdere.
Mentre la sua relazione con Mia Farrow stava finendo in tribunale, uscì questo "cine-occhio" di Woody Allen sulle crisi del rapporto di coppia nella mezz'età. Al di là del tema ricorrente ("Molto autobiografico? E di che altro vuoi che scriva?"), è peculiare il taglio filmico, fatto di riprese mosse e sfuocate, di un montaggio pseudo-amatoriale con trasgressione di molte delle regole canoniche del "buon cinema". La cinepresa è una presenza voyeuristica, nervosa, ha le movenze d'un occhio che scruta nell'intimità: vengono in mente Cassavetes e soprattutto Godard, anche per l'interporsi di interviste ai protagonisti che, invece che confessarsi al regista, colloquiano con una voce fuori campo da psicanalista. È un confessionale dove la macchina da presa ci rappresenta come spettatori. Peccato che, al di là della curiosa forma meta-cinematografica (meglio: meta-alleniana), il contenuto non sia parimenti sorprendente: i dialoghi non sono particolarmente brillanti, divertenti, profondi e i temi sollevati sono abbastanza banali. Certo lo sguardo sulle coppie, i loro tradimenti, ripensamenti, opportunismi, è di un sarcasmo amarissimo, cinico, rassegnato: affiora anche un pizzico di misoginia, con le idiosincrasie di Sally (una Judy Davis nevrotica, noiosa e frigida da antologia), di Judy (una Farrow facilmente influenzabile, insoddisfatta e passiva/aggressiva) e del terribile personaggio della Lewis (una ventunenne mangiauomini). Gli uomini ci fanno più bella figura: il tipo di Sydney Pollack è solo vittima d'una sbandata con un'oca bionda, Liam Neeson fa il romantico, Allen si santifica rinunciando alla relazione extraconiugale. La differenza fra le donne e gli uomini è la stessa che passa fra gli ovuli "selezionatori" e gli spermatozoi "affamati".