
TRAMA
Quando Jean-Gab e Manu, due amici un po’ sempliciotti, trovano una mosca gigantesca intrappolata nel bagagliaio di un’auto, decidono di addestrarla per farci un sacco di soldi.
RECENSIONI
Mandibules è il gemello diverso di Doppia pelle: se in quel film Dupieux esercitava la sua demenzialità su un terreno ultrateorico, autoriflessivo, intellettuale, qui fa cadere ogni costrutto concettuale per mostrare, nudo e crudo, il discorso che da sempre caratterizza la sua arte (in qualsiasi campo, dal cinema al videoclip , dalla pubblicità alla musica - a proposito: il soundtrack è dei Metronomy -): quello della libertà assoluta, di un assurdo che sa farsi nobile delirio.
Così dà la stura a un fuoco di fila di trovate irresistibili benché/perché stupide, inanellandole su un filo narrativo pretestuoso, genialmente imbecille, quello di uno Scemo + Scemo ancora più scemo, perché davvero decerebrato e selvaggio. Lo fa con una forza comica impagabile, che non mostra mai la corda perché - per ispirazione e per caso - il campo cambia felicemente di continuo, ma conservando, la scrittura, la coerenza di questi personaggi teneramente folli, alieni in una realtà che viene detta normale e che, sotto sotto (ma neanche tanto), è ancora più assurda. Una miniodissea (la forma del road movie - ibridata con altri mille generi: qui anche, perché no, lo sci-fi cronenberghiano - rimane quella prediletta dall'autore) in cui - volendoci trovare un filo conduttore, non certo un tema - a menare le danze è la corsa al denaro, il mito contemporaneo del guadagno facile. Una via lattea demenziale che sembra mettere in crisi ogni tentativo di interpretazione: proprio perché in bilico tra un primo grado evidente e un secondo solo ipotetico, ragionarci su ha l'effetto di raffreddarne la rovente vis comica, al cui servizio si consegna l'intero racconto. Vedere in Mandibules il titolo più accessibile del regista (il suo The Straight Story, va) mi pare, insomma, un dato di fatto sul quale non è obbligatorio ragionare, limitandomi a registrare la sempre più evidente apertura del suo cinema allo star system transalpino: qui incarnato da Adèle Exarchopoulos che si compenetra nella poetica stravagante dell'autore dando vita a un personaggio memorabile.
Peccato che la radicalità della proposta (e il genere: la commedia è sempre bistrattata) abbiano privato un autore riconosciuto (a suo modo già un maestro, non fosse altro che non si può paragonarlo a nessun altro) della competizione veneziana: Dupieux l’avrebbe meritata e, stante il successo unanime ricevuto dal film, forse avrebbe portato a casa persino qualche premio. Sarà per la prossima volta, anche se il compito di un festival sarebbe proprio l’opposto: proporre nuovi assetti, anticipare le cose, non prendere semplicemente atto, a giochi fatti, dello status quo.
