TRAMA
Durante la guerra in Corea, tre medici (Sutherland, Gould e Skerrit) si divertono a combinare scherzi e, tra un’operazione e l’altra, organizzano pure una partita di rugby.
RECENSIONI
Durante le riprese di "That Cold Day In The Park", Ingo Preminger offrì al regista Robert Altman lo script di "M.A.S.H.", rifiutato, tra gli altri, da Kubrick e Arthur Penn. Inizialmente esitante, l'autore di "Nashville" accettò quando si rese conto che avrebbe potuto sfruttare la satira blanda degli ospedali militari per assestare un duro colpo ai fautori della guerra. Nel 1970, quando ancora zio Sam ordinava a migliaia di ragazzi di andare a sparare ai vietcong, nei giorni di lotta e di protesta nelle piazze, nelle università, nelle fabbriche, Altman realizza il suo primo film importante e vince la Palma d'oro al festival di Cannes. Ambientato nell'ospedale da campo n. 4077, l'opera di Altman descrive gli effetti della guerra, i segni essenziali che lascia sul corpo dei soldati: corpi a brandelli, sangue, camici macchiati. In tale contesto la morte perde la sua "assolutezza", diventa una cosa come tante, perde di significato. Il caotico microcosmo popolato da medici eccentrici o cinici, fannulloni o pazzi è un fronte metaforico, simbolico: il soldato è il chirurgo, il malato è il nemico. Interpretato dai più importati attori della "new Hollywood" (Donald Sutherland e l'Elliott Gould protagonista del successivo capolavoro altmaniano: "Il lungo addio"), il film segna una svolta per Altman: dopo anni di ricerca sembra aver trovato uno stile in grado di rappresentare efficacemente, a livello visivo, quella perdita di centro che è "le propre" dell'uomo moderno. La macchina da presa segue personaggi che sembrano sfuggire il centro dell'inquadratura, si sposta seguendone altri senza soluzione di continuità, salta ostacoli rivelando nuovi volti e nuovi spazi. L'effetto che ne risulta è spiazzante. Ruolo centrale lo giocano, come in "Gang", i suoni dietetici. La radio inanella una teoria di notizie eterogenee e la "voce" nascosta commenta i fatti avvenuti nel campo intervenendo con battute surreali ed accostamenti discutibili (la richiesta di plasma è seguita dall'annuncio del titolo del film della serata) quasi a voler duplicare, acusticamente, il "vagabondare", apparentemente senza meta, della macchina da presa. Lo spazio si apre all'occhio della cinepresa e pure l'intimità del coito è violata. Anche se a dominare è la comicità goliardica, non mancano tocchi surreali (il picaresco viaggio in Giappone dei due protagonisti, unico "sfondamento dello spazio autosufficiente del campo"), blasfemi (l' "ultima cena") e momenti più sottilmente allusivi: come scrive Flavio De Bernardinis descrivendo un momento del film: "dopo che la radio ha comunicato lo smarrimento dell'ennesima cassa di plasma sanguigno, la cinepresa inquadra prontamente una cassa di legno recante la scritta "Human Blood" in bella evidenza; quando il coperchio viene improvvisamente sollevato, appaiono numerose lattine di birra che all'istante sono afferrate e strappate dagli allegri chirurghi. Allegoricamente, pertanto, sotto la scritta "sangue umano" che n'è un'altra, l'etichetta della birra: il sangue viene riscritto in birra e bevuto. Siamo dalle parti del vampirismo". Il film ha dato origine ad una serie televisiva di successo. Il titolo è l'acrostico di Mobile Army Surgical Hospital.