TRAMA
In un campo di gitani, Nara ha ripudiato la moglie perché ha fatto uso di anticoncezionali. Vive con la vecchia madre e la giovane figlia.
RECENSIONI
Preziosa visione "dall'interno" della vita degli zingari, detti anche "principi" (il titolo originale): l’esordiente (se si esclude un’opera inedita del 1975) Tony Gatlif, infatti, è un gitano/algerino trapiantato in Francia, e ha diviso la propria infanzia fra le strade ed il riformatorio. Attraverso la figura del protagonista (Nara), il regista vuole restituire il carattere fiero, iroso, focoso, intransigente, crudele, solidale, libero, maschilista, pericoloso, ma anche capace di insoliti moti di euforia e tenerezza di questo popolo per lo più avulso dalle regole sociali, pronto a subirle (gli sfratti, l'intolleranza) ma non a rispettarle (non chiedono, prendono). Il titolo italiano fa riferimento ad una leggenda dei nomadi in cui Dio, intento a creare l'uomo con l'aiuto di un forno, ha prima cotto troppo (l'uomo nero), poi troppo poco (il bianco), infine in modo perfetto (il gitano): Nara non è certo il modello della perfezione, ma possiede un'elevata dignità (ammirevole la sua calma e scaltrezza al bar, solo contro tutti), soprattutto se posta a confronto con le caricaturali, ridicole, vigliacche figure dei "bianchi" (il turista fotografo, la giornalista, il compagno di ruberie). Gatlif (che interpreta Leo, uno dei tre fratelli della moglie) non giudica né denuncia apertamente, tantomeno ha intenzione di restituire in modo edulcorato il proprio popolo, ma è evidente l'affetto con cui descrive i "suoi" e l'irrisione che riserva agli "altri". Bellissime la sequenza d'apertura, su di un bambino nomade che mastica un dollaro e l'on-the-road finale, con la buffissima (quando s'ingozza di cuscus!) e caparbia madre che cammina davanti (è la coscienza politica della famiglia, dice: "Cambierà, devono capirci, devono rispettarci") e la consorte ripudiata che segue la comitiva di nascosto.
