LONG LIVE THE NEW FLESH

Titolo OriginaleLong live the new flesh
NazioneBelgio
Anno Produzione2010
Genere
  • 67401
Durata14'

TRAMA

I nostri peggiori incubi cinefili si incontrano sullo schermo, dando vita, a partire dal volto allucinato di Jack Nicholson in Shining, a una macabra danza dell’orrore in cui le forme si contaminano tra loro. I pixel dividono e separano le immagini, che entrano una nell’altra, si colorano e diventano macchie quasi indistinte, ma non per questo meno cariche degli elementi tipici del genere. Il suono accompagna questo movimento tra le pellicole e contribuisce a creare una nuova storia a partire dalle membra sezionate di alcuni cult movie del cinema horror. (Dal catalogo del TFF)

RECENSIONI


In Long live the new flesh, forsennato impasto di brandelli horror e pixel allo stato grezzo, Provost si appropria dell'inno conclusivo di Videodrome per celebrare i ludìbri e i delìqui della nuova carne digitale, asportando quattordici minuti di macelleria visiva da svariati horror, da  L'esorcista a Shining, e deformandone le scene-madri nel precipitato visivo tipico dei dvd graffiati e difettosi. Il gore degli horror trouvé si accorda così ad un'immagine orrendamente mutilata, condannata - insieme al suono - al fibrillìo paralitico e alla putrefazione pixellata; l'esperimento del videoartista belga, senza fermarsi all'apologia degl'inestetismi digitali, mira a modulare il doppio orrore in una bellezza impossibile, quasi un corrispettivo filmico di quanto tentato, in musica, dal glitch osceno dei Disc, il side-project dei Matmos dedito al delirante campionamento di cd rotti e sovrincisi. Cambiano i supporti ma non la pratica riciclatrice: così come i Disc traducevano in codice binario i mix di vinili deturpati e ri-assemblati da Knizak e Marclay, Nicolas Provost, sfiorando pericolosamente l'aprés-garde incandenziana, non fa che aggiornare in pixel il found footage avariato di tanto cinema sperimentale (Tscherkassky in primis). Ma in Long live the new flesh l'inatteso si compie, l'insperato riesce: l'ammasso video di scarti in (precoce) decomposizione si sublima in poesia illeggibile eppur ipnotica, astrazione grafica ad un tempo potente e indecente, ridefinendosi e reinventandosi senza requie in un turbinìo di interferenze altrimenti inguardabili. Affrancata dall'orrore che vi è inscritto, l'immagine disturbante e disturbata si slabbra nel dedalo di carni, sfilacciandosi in sovrimpressioni autofagiche e vagheggiando nuove possibilità di montaggio interno; come nelle manipolazioni video di Martin Arnold, Provost disseziona la memoria del cinema per riscriverne ex novo la grammatica, ne allenta tempi e spazi per esibire spavaldo l'automatismo del suo cut-up digitale. Audace provocazione concettuale, Long live the new flesh è un violento coacervo di pulsioni videoartistiche e cinefilia carnale, un selvaggio collage autoptico in linea con le precedenti cine-glosse del belga (Bataille, Pommes d'amour, I hate this town) e incurante del biasimo dei nostalgici della pellicola (guasta l'elaborazione del lutto).