Recensione, Thriller

LO SQUALO

Titolo OriginaleJaws
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1975
Genere
Durata124'

TRAMA

Un gigantesco squalo minaccia la comunità dell’isola di Amity.

RECENSIONI

Una soggettiva anomala, fuori dall'ordinario, un'enorme massa d'acqua avvolge il punto di visione e un tema musicale che scopriremo essere fortemente evocativo fa da cornice alla scena. Da un gruppo di spensierati teenagers si allontana una giovane coppia, la ragazza passa dalla terra ferma ad un ignoto spazio profondo, ritorna il tema musicale precedente che porta con sé il mostruoso. La ragazza viene sbranata. Questa la prima sequenza de Lo squalo di Steven Spielberg del 1975. A più di trent'anni dall'uscita nelle sale di quello che ancora oggi è uno dei maggiori successi della storia del cinema, sono numerosissime le letture che del film vengono offerte. Si va dalla lettura sociale secondo la quale i tre personaggi principali sono portatori di una precisa classe sociale; alla lettura politica secondo cui lo squalo rappresenta il consumismo; a quella psicoanalitica per la quale i tre personaggi incarnano l'Es, l'Ego e il Super Ego, che nel corso dell'avventura in mare sviluppano il loro conflitti. Se tutte queste letture sono, ciascuna a suo modo, valide e si fanno portatrici di istanze spesso necessarie alla critica cinematografica, lo squalo del film – per usare le parole del regista stesso – è prima di tutto uno squalo. Uno squalo al cinema. Questo per dire che prima di ogni altra peculiarità, prima di qualsiasi altra interpretazione, Lo squalo è un film così potente, così efficace nel mettere d'accordo pubblico e critica diventando anche un'icona cinematografica (ma non solo) della contemporaneità, perché è un film sul cinema e sulla forza narrativa insita nel mezzo cinematografico. In questo senso la prima sequenza è una sorta di dichiarazione di intenti, il luogo nel quale si individuano in modo perentorio le traiettorie linguistiche sulle quali Spielberg decide di costruire il suo terzo film. In particolare il racconto si basa sull'incontro tra l'umano, il quotidiano e l'altro, lo sconosciuto. Questo rapporto genera una tensione che sta alla base di tutto il film e che lo percorre interamente sia sul piano narrativo, sia – e forse soprattutto – su quello linguistico. Il regista infatti costruisce la struttura filmica su una serie di opposizioni quali quella tra terra e acqua, tra luce e buio, tra dentro e fuori, che testimoniano tutte l'opposizione esistente tra l'uomo e quella che per buona parte dell'opera (secondo la felice scelta di non mostrare lo squalo per i primi due terzi del film) è un'ignota, mostruosa alterità. É l'opposizione tra dentro e fuori quella che fa da perno all'intero film e che ne esemplifica al meglio le sue proprietà metatestuali: tutto ciò che esiste dentro l'inquadratura è quasi sempre materiale umano (e non solo) ordinario, teso in modo sempre più spasmodico a straripare verso il fuori campo alla conquista del fuori. Allo stesso modo, è fortissima la tensione del fuori a sfondare il dentro. Lo spettatore è sempre più travolto, quasi torturato da questa tensione che genera in ogni sequenza del film delle attese sempre crescenti, in linea con gli efficaci canoni della suspense di hitchcockiana memoria. Lo squalo però, nonostante sia per certi versi molto distante della produzione spielberghiana successiva (quella degli anni ottanta in particolare), è in ogni caso un film di Spielberg, in cui l'avventura ha un ruolo centrale nel percorso narrativo del protagonista, la cui quotidiana e spesso monotona vita è stravolta, anche solo per un giorno, dall'incontro con lo straordinario. Un cinema che mostra il “conflitto” tra l'uomo e la sua avventura.