TRAMA
La figlia di Maria nasce prematura e viene messa in un’incubatrice. Alla donna non resta che aspettare sperando che la piccola ce la faccia.
RECENSIONI
Lo spazio bianco del titolo è quello dell’attesa cui la protagonista - la sua neonata è in incubatrice - è costretta dalle circostanze, una parentesi che si apre improvvisa e nella quale, dopo un momento di paralisi, finisce col depositare la sua vita, esattamente come in tutti gli altri segmenti di tempo della propria esistenza. Disorientata dalla dipendenza da un evento che non può controllare - lei che è abituata all’autonomia e al controllo delle situazioni -, ma che è tutto nelle mani della Natura, una Natura che tarda a pronunciarsi e che la fa indulgere a una sofferente apnea e all’ibernazione dei progetti e dei possibili futuri, Maria nell’amara attesa di un responso, per quella gravidanza che non ha cercato e che è diventata, comincia a capirlo, un dono inatteso, scopre se stessa, la propria solitudine, la necessità di aprirsi finalmente agli altri per costruirsi un mondo più forte nel quale accogliere la sua creatura.
Ritratto di una donna e, in prospettiva, ritratto di una città (Napoli) in transizione, Lo spazio bianco è un film in cui il dramma viene costruito, pur nella progressione farraginosa, senza deragliamenti, ma con una insoddisfacente capacità descrittiva dei contesti e dei personaggi, approntati come puro sfondo al perno su cui tutto il film ruota, l’ interpretazione di Margherita Buy, qui imbrigliata a toni più prosciugati del solito.
Comencini inciampa in una serie di svarioni (del tutto fuori fuoco la parte visionaria del balletto in corsia, molti momenti chiamati evidentemente a fare contesto – il rapporto con la vicina magistrato è una sorta di tributo dovuto a una riflessione sul sociale che suona, nella generale considerazione del dato intimo, forzata -), ma in altri frangenti ottiene una discreta tenuta narrativa, complice il romanzo della Parrella dal quale il film è tratto (la scena, molto incisiva, del confronto col medico sul linguaggio da utilizzare) e non disdegnando anche qualche bell’azzardo visivo (la plongé che propone in nove riquadri la sala delle puerpere e, di conseguenza, lo schermo - la fotografia è di Luca Bigazzi -). Il film di questa congiuntura segnata dal fragile limine tra vita e morte nella quale Maria si muove, mentre elabora una sorta di bilancio provvisorio del suo percorso, si apprezza solo a tratti, insomma, quando la regista riesce a imporre una certa sobrietà di registro, senza indulgere in inutili fronzoli.