Documentario, Sala

LO AND BEHOLD

Titolo OriginaleLo and Behold. Reveries of the Connected World
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2016
Durata98'
Sceneggiatura
Montaggio

TRAMA

Dieci capitoli che attraversano primordi e sviluppi, presente e possibile futuro dell’era digitale. Interviste a precursori del web e a vittime della Rete, a scienziati e hacker, a sognatori e “sopravvissuti”; a chi vuole un mondo sempre più tecnologico e a chi si è rintanato nei boschi. Internet tra prodigi e incubi, dubbi e rivoluzioni. Le domande sull’umanità che è e che verrà.

RECENSIONI

A 14 anni ha iniziato a viaggiare a lungo, a piedi, a 17 ha usato per la prima volta un telefono. Ha raggiunto l’Africa neanche diciottenne, a 19 anni il suo cinema cominciava a nascere. Oggi Werner Herzog, classe 1942, pare non abbia neanche il cellulare, mentre l’uso che fa di internet vive nel perimetro di e-mail, con sporadiche fuoriuscite su Google Maps. Facebook? Twitter, Instagram (!) ecc.? Non ne parliamo: «Il mio social network – dice – è sostanzialmente il tavolo del mio soggiorno, che è da sei persone: io e mia moglie, più un massimo di quattro ospiti. La nostra “rete sociale” si svolge attorno alla nostra tavola».
E allora, ci piace pensare a Lo and Behold, innanzitutto, come al magnifico paradosso di un cineasta del mondoReveries of the Connected World non è solo il sottotitolo originale del suo film, ma un altro oggetto fantastico (perché  sono tutti di fantasia i documentari, e più in generale i lavori di Herzog. Una volta, a proposito della frase che chiudeva un suo straordinario documentario sui sordociechi come Paese del silenzio e dell’oscurità, “Se una guerra mondiale scoppiasse ora, non lo noterei neppure”, ha detto: «Non è mai stata pronunciata da Fini [Fini Straubinger, che perse vista e udito in giovane età]. L’ho scritta io, pensando che condensasse in poche parole l’esperienza del mondo di una persona come lei»). L’oggetto fantastico di un viaggio che ancora gli mancava, dunque, questo Lo and Behold, dopo gli angoli del globo, gli abissi e l’Amazzonia, il deserto e i sentieri nel ghiaccio, gli ignoti spazi profondi e le caverne dei sogni dimenticati, gli incontri alla fine del mondo… La fantasia è la tensione urgente di Herzog, è la sua curiosità da esploratore, la scoperta (ancora, nuova, aurorale) dell’umanità.

Lo and Behold è magnifico paradosso perché frutto del più grande inventore del reale. La committenza della NetScout per un’opera che sviluppasse il tema di origini e progressi dell’universo digitale, le sue grandi conquiste, ha trovato in Herzog, come affermano dalla produzione esecutiva, «un turista della tecnologia […] quasi come se fosse un alieno venuto da un altro pianeta». Come dar loro torto di fronte agli splendidi interrogativi di Herzog, durante le diverse interviste del documentario, sulla differenza, ad esempio, tra uno scarafaggio e un robot, le sue riserve dinnanzi a chi preferisce la perfezione delle macchine  («Le macchine, però, non possono innamorarsi!»), la sua domanda più folle e candida(«Internet potrà sognare se stessa?»). Herzog domanda, ma non si vede. I dieci capitoli del viaggio non sono un diario, ma un atlante, un mappamondo dell’immaginario contemporaneo, dell’umanità di oggi, di quella che potrà essere. Incontra chi  è diventato leggenda della pirateria informatica ed esperti di cybersicurezza, visionari delle spazio e della robotica, scienziati che preannunciano i nuovi scenari delle intelligenze artificiali, astronomi che indicano il futuro del pianeta; conversa con persone che hanno visto la morte dei propri cari essere sbeffeggiata e oltraggiata nelle grandi praterie telematiche, incontra chi ha gettato le basi di internet da un laboratorio dell’UCLA di Los Angeles nel 1969, chi il web l’ha fondato e altri che nei confronti di videogiochi online hanno sviluppato una dipendenza tale da metterne a repentaglio la vita, altri ancora che nei boschi si sono rifugiati a causa di malattie dovute alle onde emesse da ripetitori e apparecchi tecnologici. Scova la calma di un gruppo di monaci tibetani in trasferta con il capo abbassato in direzione smartphone: uno dei momenti più comici dentro un film che mette Herzog nella posizione di chi guarda, chiede e ascolta, di chi risponde, ironizza in certe occasioni, mentre in altre è partecipe dello smarrimento e del dolore altrui. Il suo è sempre un profondo rispetto per tutti, per chi sogna meraviglie e chi ha vissuto incubi, non è mai un giudizio morale, ma uno sguardo etico sempre.
Come per la Fini del Paese del silenzio e dell’oscurità, anche qui quella «esperienza del mondo» diventa necessaria, bellissima transizione negli occhi che guardano, inventano e ascoltano altri mondi, storie, vite. Del resto, a chi tempo fa gli domandava quanto si sentisse vicino ai suoi personaggi, Herzog rispose: «Penso si capisca che provo una profonda simpatia per tutti loro, al punto che Schmidt-Reitwein [suo storico direttore della fotografia]diceva tra il serio e il faceto che dovrei essere io stesso a interpretare tutti i personaggi dei miei film. In effetti me la cavo abbastanza bene come attore […]. Che si tratti di un film d’invenzione o di un documentario, non potrei mai realizzare un film su qualcuno verso cui non nutra una  curiosità alimentata da una simpatia di fondo». E alla fine, le immagini che chiudono  Lo and Behold, forse, stanno a dirci i luoghi del mondo a cui ogni tanto tornare. Prima del prossimo viaggio.