Drammatico, Raiplay

LITTLE SISTER

Titolo OriginaleUmimachi Diary
NazioneGiappone
Anno Produzione2015
Durata128'
Sceneggiatura
Tratto dadal graphic novel
Fotografia
Scenografia
Costumi

TRAMA

Tre giovani adulte accolgono nella loro casa la sorellastra adolescente.

RECENSIONI

Un doppio lutto da elaborare: la perdita di un padre (la sua agonia, in ogni senso sottaciuta, precede l'avvio dell'intreccio e si specchia in quella della proprietaria del ristorante) e il suo lento, progressivo, inarrestabile ritorno a casa, nella persona di una sorellina graziosa e dolce come una bambola (vedi Air Doll, capitolo fondamentale della filmografia del regista), già segnata da un dolore che non può che emergere nel sonno e nell'oblio (il delirio post sbronza, cui risponde la saggezza, sempre alcoolica, di Yoshino). Le tre cechovianissime sorelle (alla madre spetta piuttosto il ruolo del professor Serebrijakov in Zio Vanja) aprono la loro casa all'ospite (in)attesa, ma l'idillio tarda a fiorire: la casa è segnata dal tempo, inaridita (il pruno non fruttifica più come una volta), popolata di piccoli mostri (quasi) invisibili; le porte non hanno le chiavi, ma quelle poste a difesa del cuore umano sembrano inviolabili. Gli umori e i sapori dei cibi impregnano lentamente l'atmosfera, il tempo scorre (istante dopo istante, lo splendore della natura funge da metronomo (il titolo originale, che coincide con quello del testo di partenza, significa "diario di una città di mare"), gli errori sono quelli di sempre: l'unico affetto stabile e duraturo è quello che lega i vivi ai morti (una commemorazione funebre apre e chiude il film, le sorelle pregano di fronte al piccolo altare domestico dedicato alle anime degli antenati, madre e figlia trovano la forza di parlarsi, sia pure indirettamente, solo al cimitero), per il resto, solo incomprensioni, bugie e piccoli ricatti, occasioni mancate, sogni accantonati. La famiglia è una costruzione progressiva, un nucleo che prende forma lentamente, ammettendo nel suo circolo (il dono del liquore e quello del vestito) anche chi sembrava per sempre escluso, mentre la voce del sangue e quella del cuore si mescolano, senza (con)fondersi, rafforzandosi a vicenda (altra re-visione consigliata: Father and Son).

Quella delle sorelle Koda/Asano è una quotidianità fatta di quasi niente, che il regista pedina con l'abituale delicatezza, quasi timoroso di violarne il mistero: ne risulta un film affascinante ma un poco inerte, a tratti appesantito dall'esibita leggibilità delle metafore di cui è intessuto (il fiore di ciliegio che, provvidenziale, giunge a incoronare la fronte di Suzu), felpato e in punta di forchetta anche nei momenti più tesi e involontariamente crudeli (il dialogo in cucina tra Suzu e Sachi). Forse il difetto principale risiede nel formato: un corto o un mediometraggio sarebbero risultati meno lambiccati, più compatti, un po' meno sapidamente letterari.

Dopo lo stupendo Father and Son, il partito preso di orizzontalità del cineasta giapponese non trova nessun contrappeso che lo giustifichi. In quel film, il penultimo, l'appianamento totale di ogni scintilla drammatica e la radicale de-gerarchizzazione degli elementi costituenti la materia narrativa, ottenuti soprattutto grazie a un eccellente livellamento distributivo dei valori grafici e cinetici all'interno del campo lungo, si rivelavano superbamente funzionali rispetto ai meccanismi e gli schemi della commedia (come quello ultraclassico dei figli scambiati tra famiglie di diversa estrazione sociale); in quest'ultima opera, non sono funzionali che all'esposizione dei personaggi femminili: le tre figlie di un uomo morto da poco, che decidono di prendere in casa con sé la figlia da lui avuta da un'altra donna. Essi però sono troppo esili, e se ci si aggrappa solo a loro si finisce per scivolare giù: va bene, va benissimo sperimentare in un film la più totale assenza di conflitti, ma bisogna trovare un controbilanciamento - che qui, ahinoi, manca.