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TRAMA
Da molti anni ormai il giovane Clindor ha abbandonato la casa paterna; il genitore non ne ha notizie da tempo, finché una mattina nota, tra la posta, un involucro luminoso. Aprendolo, scopre immagini e registrazioni video del figlio, che conduce una vita dissoluta e, secondo il misterioso mittente del pacco, si trova a Parigi. Deciso a ritrovare Clindor e a riportarlo sulla retta via, l’uomo si reca in un albergo parigino, dove, nel buio dei sotterranei, gli schermi monitorano vizi, passioni e debolezze umane. (dal catalogo del TFF 2011).
RECENSIONI
Dislocamento. Amalric traduce per la Tv L’illusion comique di Pierre Corneille, oggi. Come fece Almereyda con Shakespeare in Hamlet 2000: conservare il testo, aggiornare il mondo. In verità, trattasi di un progetto della Comédie française che, da tre anni a questa parte, chiede a un cineasta d’Oltralpe di adattare per il piccolo schermo un testo del proprio reportorio. Così, dopo Crisi di mezzogiorno di Paul Claudel ad opera di Claude Mouriéras e Giusto la fine del mondo di Jean Luc Lagarce adattato da Olivier Ducastel e Jacques Martineau, Amalric affronta L’illusione comica. Seguendo ovviamente le obstruction definite dal committente: servirsi unicamente delle parole del testo teatrale, affidare i ruoli solamente a coloro che già lo vestirono a teatro, girare al di fuori dei teatri e in soli 12 giorni. Amalric trasforma la mise en abyme specificamente teatrale adeguandola ai nostri tempi, quelli della riproducibilità tecnica, dei sistemi di sorveglianza e dei video digitali. Persino dei videogiochi. Così, riducendo la profondità di campo delle riprese dal vero, avvicina ogni cosa alla bidimensionalità della copia, ribadisce lo statuto di una realtà mediata che - pare dirci - è sempre e solo mistificazione, ludica o sadica che sia. Per mancanza di libertà d’interpretazione del testo, Amalric gioca dunque per associazioni visive, assonanze e consonanze, costruendo un labirinto di rappresentazioni che si scioglie, come la narrazione, nello svelamento finale. Il fascino degli attriti in forma d’anacronismo tra testo e contesto, il magnetico fluire del verseggiare alessandrino, la magnifica interpretazione di ogni singolo componente del cast garantiscono la potabilità dell’operazione. Ma è un esercizio fertile solo nel ridotto orticello della commissione: dato il tema, lo svolgimento è originale, ma l’idea di cinema è unicamente funzionale al gioco sul testo, quella di mondo etichettabile facilmente sotto il pensiero ombrello del post-moderno (privato di coni d’ombra, increspature di crisi, possibiltà di superamento). Yawn. (In ogni caso: appunto sull’erba del vicino inesorabilmente più verde: impossibile non invidiare il fatto che in Francia si elaborino progetti di tale rilevanza e respiro).