TRAMA
La cagnetta Lilli vive insieme a due giovani sposi che la adorano. Ma la nascita di una bambina mette in crisi Lilli, che si sente trascurata. Fugge così di casa e incontra un cane randagio del quale si innamora.
RECENSIONI
Si tende ad idealizzare i “Grandi Classici Disney”, seguendo l'immarcescibile regola della nostalgia che falsifica la verità e la realtà. Tutto sommato il sessismo, il moralismo e il classismo (e il qualunquismo, e il razzismo) dei vari Cenerentola, Aristogatti e La bella addormentata nel bosco ci sembrano normali tributi da pagare per poter godere al meglio di quel tratto artigianale inconfondibile e di quello stile favoloso / favolistico che ormai non esistono più, sostituiti dall'impalpabile perfezione della computer grafica. Nella re-invenzione contemporanea di quei film, la multinazionale di Burbank (che ormai tutto fagocita, tra Marvel Cinematic Universe e franchise Star Wars, prodotti 20th Century Fox e Pixar) cammina su un campo minato: per tenere vivo il più ampio fandom possibile, attirando il vecchio pubblico e reclutando nuovi adepti, occorre non snaturare troppo le pellicole di riferimento, modificandone tuttavia alcuni passaggi e messaggi ai limiti del vilipendio culturale. I nuovi La bella e la bestia, Aladdin, Il re leone sono lavori studiati fin nei più minimi dettagli, quasi a tavolino, per non scontentare nessuno (col rischio opposto poi dell'atonia, della totale mancanza di colore e sapore). Il live action di Lilli e il vagabondo si pone, ovviamente, sulla medesima lunghezza d'onda, e chi afferma di avere di fronte un film pressoché identico all'originale, salvo qualche insignificante modifica, quell'originale probabilmente non lo ricorda bene e/o non lo vede da un po', preferendo magari fare appello al sentimento nostalgico di cui sopra. Ariete di sfondamento della nuova piattaforma Disney+ (assieme alla serie tv The Mandalorian), il novello Lady and the Tramp ricostruisce le atmosfere e le tematiche del cartone animato del 1955, attuando delle macroscopiche variazioni sul tema.
Le significative modifiche di struttura portano il nome di gender swap e social swap: gli umani Gianni Caro e Tesoro sono una coppia mista (siamo nella New Orleans dei primi del Novecento), e anche l'arcigna zia è ora afroamericana; il borbottante scottish terrier Whisky si tramuta nell'esuberante Jacqueline, e il nascituro che scombussola la placida esistenza di Lilli da bimbo diventa bimba (eliminando così il micidiale dialogo tra marito e moglie in cui lui domanda «È possibile sapere se sarà maschio o femmina?» e lei risponde «No, non ci resta che sperare [che sia maschio, NdA]»). Si smussano, in buona sintesi, gli angoli e gli spigoli, accantonando le sequenze più controverse – compreso l'indimenticabile siparietto orientalista dei gatti siamesi, che tanto scandalo fece all'epoca – nel nome di una più ampia dimensione familiare. L'espansione è più fluida, il ritmo è più rilassato (si passa dai 76 minuti del cartoon ai 104 del film) e c'è un'attenzione maggiore ai personaggi in carne e ossa (su tutti il villain accalappiacani), mentre al contempo si cerca di far sembrare gli animali parlanti estremamente realistici, con conseguente effetto straniante e a tratti inquietante. Si potrebbe dire che la mancanza di profondità emotiva nelle espressioni del cocker spaniel e dello schnautzer meticcio protagonisti si riflette nel deficit di personalità e anima dell'intera operazione, caratteristica che del resto accomuna tutta questa nuova forzosa onda di remake disneyani. Come per ogni rifacimento, è lecito continuare a domandarsi se tutto questo sia davvero necessario, e al momento la risposta resta sempre la stessa: Lilli e il vagabondo, al pari dei suoi predecessori “dal vivo”, esiste solo perché deve e non perché potrebbe, è un prodotto nato non da uno slancio autoriale creativo ma da un'inevitabilità commerciale.