Drammatico

LEZIONE VENTUNO

TRAMA

La lezione del professor Mondrian Kilroy sulla Sinfonia n. 9 in re minore op. 125 per soli, coro e orchestra di Ludwig van Beethoven.

RECENSIONI

Ad Alessandro Baricco non fa difetto l’ambizione: il suo esordio come regista è un film che parla di musica, anzi di uno dei luoghi topici della musica occidentale, e lo fa non attraverso la solita ricostruzione pseudobiografica (o meglio, agiografica) ma tramite una vicenda originale (pur con alcuni “autoimprestiti”: il professor Kilroy viene da City) che, mescolando (finto)documentario e fiction, tenta di inquadrare l’opera nel contesto (storico - la Vienna post Congresso e il progressivo oblio che conobbe la musica di Beethoven - e intimo - i turbamenti e le depressioni dell’autore, dal testamento di Heiligenstadt all’isolamento degli ultimi anni -) e azzarda addirittura una traduzione visiva delle architetture sonore. Registrata la buona volontà, ammirato il formidabile cast radunato per l’occasione, gustati alcuni momenti intensi (il cameo del direttore d’orchestra Daniel Harding, il piano sequenza in cui Marta si aggira nel bowling abbandonato sulle note del tema del Finale), non si può che constatare la pretenziosità del risultato finale. La Nona interessa a Baricco né più né meno che come un tema su cui collaudare la possibilità di fare un film-collage, mescolanza di stilemi tutti (o quasi) deliberatamente vetusti ai confini della parodia volontaria. L'uso delle fotografie e del Super 8, i flashback, le interviste stile cinema verità, la sottotraccia fantastico-allegorica densa di anacronismi, così pesantemente e didatticamente gravida di simboli da risultare evanescente: tutto, in Lezione ventuno, testimonia la volontà di Baricco di dimostrare - in primo luogo a se stesso - la propria abilità in quel gioco di prestigio che è la creazione cinematografica. C’è solo un problema: per gestire un materiale così complesso e impalpabile, c’è bisogno di un grande sperimentatore (ma di quelli veri) o di un esperto di grandi affreschi, non solo in costume. Un Godard o un Forman, nella peggiore delle ipotesi un Guitry. Abbandonato al proprio non irresistibile estro, Baricco confeziona un film noioso e ripetitivo, pacchiano e supponente, che ammicca ad Angelopoulos ma si arresta in prossimità di Celentano. La poesia, che si vorrebbe "anticata" e un filo snob, sa di rancido, l'ironia beffarda svapora in umorismo da quattro soldi: solo la disprezzata musica risponde all'appello, ma non basta.