TRAMA
Tre momenti, due incontri, uno scontro: ecco l’America di oggi.
RECENSIONI
Limpidamente schierato, a tesi, cristallino fin dal titolo, il nuovo lavoro di Robert Redford è un “apotrittico” che alterna, spesso faticosamente, tre livelli di racconto, tre “spazi” fisici (l’ufficio del professore/del senatore/le montagne dell’Afghanistan) e simbolici (cultura-> <- potere/teatro di guerra ove si consuma il “sacrificio” degli impegnati), tre procedimenti dialogici (l’arte maieutica messa in opera da Stephen Malley /l’intervista incalzante della giornalista “lacerata” Janine Roth/la negazione della dialettica nell’esercito, monodimensionale ed inevitabilmente “asimmetrico”) al fine di (d)enunciare una verità lapalissiana, come se il cinema civile fosse oramai “in ritardo” rispetto all’Evento, già “storicizzabile”.
Da un lato i leoni morenti dell’Impero all’inizio della decadenza (Rome Is Burning dice il professore) ed i loro complici, con senso di colpa – è il caso della giornalista in crisi, responsabile di aver sostenuto il sistema e di continuare ad assecondare il potere laddove la propria coscienza la spingerebbe a denunciarne i misfatti –, dall’altro gli agnelli che si improvvisano leoni…
Riflessione sul peso della parola, delle parole (il dibattito, il dibattere) e sul senso delle azioni; sul legame ambiguo Potere/Cultura; su “cosa siamo diventati” (le pareti che accolgono la Storia individuale dei protagonisti: fotografie, ritagli di giornale, libri); sulle responsabilità individuali, sulla necessità dell’impegno e della critica e, ovviamente, sulla manipolazione mediatica e l’occultamento della verità (occhio ai titoli di coda): non a caso, il film ha una struttura circolare, iniziando e finendo sul giovane Todd Hayes (l’America di domani…) prima inebetito e “guardato” dalla televisione, poi forse consapevole, in grado di captare e comprendere il messaggio che scorre ai margini di un quadro fagocitato dal “gossip del mese”.
Un’opera “vis-à-vis” (A di fronte a B, C di fronte a D, D di fronte allo schermo televisivo, E e F di fronte al nemico invisibile), esteticamente prigioniera della propria “frontalità” (campi/controcampi), che vorrebbe “sfumare” ma che resta irrimediabilmente bitonale, divenendo involontario paradigma filmico della bicefala (o policefala?) America di oggi.
Redford regista al suo meglio/peggio: edificante, didascalico, sinceramente impegnato; più capace nella direzione degli interpreti che come demiurgo di immagini. La sua opera è oltremodo politica e d’attualità, apre subito tre fronti paralleli, organizzati a coppie, e intriga poco in ognuno di essi, un po’ perché pretende il pathos senza avere organizzato alcun climax, un po’ perché s’affida troppo ai dialoghi, soprattutto nella parte del professore con lo studente, che pare avulsa dal resto e, quando svelerà il proprio scopo, s’ammanterà di schematica retorica. Ciò che impressiona favorevolmente, a sorpresa, è la prova di Tom Cruise nel ruolo del senatore menzognero, manipolatore e ambiguo: il suo sorriso canagliesco è perfetto per la parte e il divo rivela una propensione per i ruoli da cattivo che in molti sfrutteranno in seguito. Lo sceneggiatore Matthew Michael Carnahan, fratello assai meno dotato del regista di Narc, lo stesso anno scrisse per Peter Berg (che qui interpreta il colonnello Falco) il mediocre The Kingdom, incentrato su di un raid di militari in Medio Oriente.