Drammatico

LE REGOLE DELL’ATTRAZIONE

Titolo OriginaleThe Rules of Attraction
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2002
Durata110'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo di Bret Easton Ellis
Scenografia
Musiche

TRAMA

A Paul piace Sean, a Sean piace Lauren, a Lauren piace Victor, Victor si piace e basta.

RECENSIONI

"Ed io sono davvero disgustato, ho cominciato a pensare:  qual è il problema di questa ragazza? perché non aveva voluto essere carina e sorridermi a sua volta? si stava preoccupando di una guerra imminente? era veramente terrorizzata? o ispirata? o appassionata? Quella ragazza, cominciavo a credere, era giunta a uno stadio terminale. Forse il disco dei Talking Heads si era graffiato o forse papà non aveva ancora mandato l'assegno.

Era estremamente difficile ricavare qualcosa di cinematograficamente degno da un romanzo peculiare come THE RULES OF ATTRACTIONS di Ellis costruito come un patchwork narrativo,  frammentato e diviso in monologhi (è recente un nudo allestimento teatrale di Luca Guadagnino con Valentina Cervi). Avary riesce in due difficili imprese: trovare un approccio originale alla materia e nello stesso tempo rimanere sorprendentemente fedele all'opera letteraria; non stupisce, dunque, che dopo il disappunto per i precedenti adattamenti (gli invero dimenticabili MENO DI ZERO di Kanievska e AMERICAN PSYCHO della Harron) lo stesso Ellis si sia detto molto contento di quest'ultimo (non risparmiando, peraltro, stilettate alla Motion Pictures per le ingerenze sul final cut che presenta epurazioni di alcuni passaggi più provocatori). Si guardi lo splendido inizio che, con uno stratagemma semplicissimo come il rewind, riesce a rappresentare perfettamente i diversi punti di vista della medesima situazione; si apprezzi il finale col fiocco di neve che si scioglie in una lacrima: ancora una scelta estremamente semplice ma straordinariamente espressiva.
Avary non scade nel bozzetto, ama questi personaggi, li cura uno ad uno, li disegna perfettamente: tra sesso, alcol, droga, rock'n roll, sterili ricerche di un senso al proprio agire le storie di questi giovani-bene che sono tutti attratti dalla persona sbagliata, dietro la patina divertente e divertita (un registro che Avary predilige, soprattutto all'inizio) e che ha alcuni picchi irresistibili (il ballo sul letto sulle note di FAITH di George Michael o i dialoghi surreali tra Paul e la madre Faye Dunaway), nascondono angosce piene e vuoti incolmabili. Nell'affresco di questa generazione allo sbando che consuma tutto in fretta, bellezza e brutture, Avary non manca neanche l'obiettivo tragico (la suicida che scrive a Sean Bateman è anonima come i bigliettini che gli lascia nella casella postale e il regista, in uno dei passaggi più belli del film, ricostruisce i momenti in cui la ragazza si manifesta, sempre di sfuggita, come mera comparsa nel grande show delle esistenze dei ricchi WASP che affollano il college in cui si ambientano le vicende del film). L'autore non teme l'azzardo e gioca assai con la cronologia, la piega alle sue esigenze, la manipola senza impacci; si lancia in un geniale split-screen che si risolve in un'inquadratura unica (perfetto esempio delle scelte operate in sede di sceneggiatura per restituire al meglio la caleidoscopicità del romanzo di Ellis), usa a dovere i suoi attori e la loro bellezza da copertina; narra del soggiorno europeo di Victor con un rutilante montaggio di immagini in video e la voce off che vomita tutto a velocità supersonica. E' perfetta dunque la scelta del regista di seguire il frazionare degli eventi ellisiano decostruendo, come fa il romanziere, il narrato, giocando con le eventualità (lo split-screen su Sean e Paul e sulle fantasie sessuali di quest'ultimo sul primo) e mantenendo, tuttavia, compattezza e coerenza dall'inizio alla fine.
Avary screma, è ovvio, per necessità rende i personaggi, nel romanzo più ambigui e sfaccettati,  più univoci e facilmente leggibili privilegiando l'ottica di un ritratto corale che mantiene sempre, però, una freschezza e un'incisività pregevoli. Una bellissima sorpresa.

E ho continuato a guardare quella ragazza, aveva dimenticato di registrare la telenovela oggi pomeriggio? aveva un'infezione del tratto urinario? perché doveva essere così fottutamente indifferente? Ecco a cosa ci si è ridotti tutti: indifferenza. Non stavo facendo il cinico a proposito di quella troia e del suo stronzo fidanzato. Credevo veramente che il limite dei loro problemi non superasse di molto quello che pensavo io. Non dovevano preoccuparsi di tenersi caldi o di essere nutriti o delle bombe o dei laser o delle cannonate. Magari i loro amanti li avevano lasciati, magari quella copia di "Speaking in tongues" era veramente graffiata, era l'immagine di questo trimestre e il loro problema.

Premessa: l'universo giovanile al cinema soffre di una fastidiosa interpretazione binaria che lo vuole, o valoroso ed eroico tutto patria e famiglia, oppure cinico e vizioso, tutto sesso, droga e poco altro.
"The rules of attraction" si inserisce nel filone cool (giovani, carini e marci) adattando per il grande schermo l'omonimo romanzo di Bret Easton Ellis. Che dietro al perbenismo dei college americani si celassero pulsioni e vacuità lo abbiamo già scoperto in una miriade di film e il lungometraggio di Roger Avary non si discosta da questo modello, riproponendo situazioni di patinato squallore ormai ampiamente dissertate. Il regista ha però il pregio di conferire al racconto ritmo e freschezza, grazie a scelte visive interessanti (molto bello lo split-screen che si congiunge in un'unica immagine), ad interpreti ben diretti e ad una sceneggiatura (dello stesso regista) assai strutturata e complicata che mantiene nelle immagini verve e incisività. Ma è proprio un certo tipo di cinema e di letteratura che appare irrimediabilmente datato.
Esplosioni di rabbia, scelte insensate, mancanza di valori, ormoni in subbuglio, il mentore della droga, sembrano gli unici motori dei teen-ager, secondo un luogo comune cinematografico che vorrebbe imitare la vita ma finisce per diventare un modello da seguire. Ampiamente scontato anche il conseguente mea culpa attribuito a genitori e istituzioni sociali. Sembra che un teen-ager debba trombare senza sosta o morire vergine per trovare spazio tra i fotogrammi di un film o nelle pagine di un libro. Forse la medietà è così poco spettacolare da risultare non vendibile: non genera miti o sufficiente sdegno.
Sta di fatto che l'ennesima spettacolarizzazione delle pulsioni giovanili in salsa glamour produce un vago senso di fastidio e aggiunge poco ad un universo, sicuramente contradditorio, ma in cui sopravvivono ancora le sfumature.

Il film di Avary ha momenti davvero notevoli, che da soli valgono il film: i “rewind” iniziali, la sequenza in split screen conclusa coi due screen(s) che si raccordano, il fiocco di neve che si trasforma in lacrima, il balletto gay sulle note di George Michael e il viaggio in Europa di Victor condensato in pochi minuti su tutti. Ma c’è dell’altro: c’è un modus narrandi interessante, benché non originalissimo, c’è l’ottima trasposizione filmica dei “complessamente” superficiali personaggi ellisiani, c’è un’atmosfera surreale e caustica che non molla mai la presa e c’è, forse, qualche cedimento strutturale che fa capolino ogni tanto ma che comunque è lungi dall’inficiare il piacere di una visione nel complesso appagante, intelligente e divertente.

Come ti prendo il teenager movie e te lo faccio a pezzi: questo pare lo scopo principale della costruzione visiva di Avary, dalla facile citazione di Tarantino fino al crudele rewind a là Haneke. Adolescenti sullo sfondo del college: tutto qui, ma si gioca sul rasoio appuntito del rovesciamento, dello sminuzzamento, del'occultamento di cadavere. Dopo un'intera pellicola stravolta, una sequenza è improvvisamente illuminante: Sean apre la sua cassetta alla ricerca della lettera dell'ammiratrice misteriosa, dopo che Lauren l'ha mandato al diavolo. Normalità: Sean troverebbe la lettera di Lauren, che gli scriverebbe per riconciliarsi. LE REGOLE (anzi: la loro trasgressione): Sean non trova nessuna lettera nella cassetta, si gira e subisce il pestaggio della coppia di pusher. Di fatto il regista punisce il suo personaggio per essersi comportato da personaggio normale, picchiandolo per il reato di tentato deja-vù. Il film è una gustosa rete di sottintesi massacrante da interpretare: come il rapporto tra Paul e 'Dick', che lascia intuire una direttiva passata da cui sboccia la loro omosessualità (o forse no? O forse 'Dick' sta solo fingendo? Forse è solo il prodotto del college americano medio, ciò che diverranno tutti?). L'altra grande frustata arriva nel finale: il teenagerismo impone che il personaggio disilluso e menefreghista (ergo: spacciatore) cambi rotta dopo l'incontro con l'Amore; LE REGOLE dicono che il personaggio disilluso e menefreghista (ergo: spacciatore) creda di cambiare rotta dopo l'incontro con l'amore, ma invece egli sta già pensando alla I'm deranged. Strade perdute che svelano frivolezze interiori, finte consapevolezze e poi di nuovo frivolezze. Gioco cinematografico che miete una vittima illustre: il teenager movie è morto. Il suo corrispondente scenico è la corsa all'ospedale per salvare l'omosessuale suicida, soccorso da un improbabile medico che, contro ogni apparenza, ne sostiene la paradossale dipartita; in effetti LE REGOLE sembra un film di genere e lo continua a sembrare (quasi) fino in fondo. Sembra vivo ma non c'è più; e se il dottore avesse ragione? In una successione di immagini finali la pellicola devasta splendidamente la gabbia ove fingeva di inserirsi.
Nota a margine: James Van Der Beek è un'impagabile scelta voluta, esce dalla sua macchietta dawsoniana e la trafigge senza pietà: il chiaroscuro della sua mimica si tuffa nello sguardo obliquo che polverizza ogni inquadratura. E' diventato grande.