Drammatico, Sala

LE NOSTRE BATTAGLIE

Titolo OriginaleNos batailles
NazioneBelgio, Francia
Anno Produzione2018
Durata98'
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Olivier, un caporeparto di 39 anni, vive per lavorare ma trascura la sua famiglia. La moglie Laura decide così di allontanarsi da lui e dai suoi due figli. Olivier dovrà affrontare la sua nuova vita da padre single e non sarà per niente facile.

RECENSIONI

Una coppia di lavoratori, bambini da allevare, una vita familiare da gestire: le piccole e grandi battaglie quotidiane. Sullo sfondo c’è la feroce new economy e, dunque, la necessità di mantenersi costantemente in equilibrio: solo le favole della buonanotte finiscono sempre bene. Quando la moglie di Oliver sparisce a essere dissestato è un quadro familiare già in bilico, con l’uomo che a casa è un padre che dovrà fare anche da madre e in fabbrica un operaio che svolge anche attività sindacale. È in questo muoversi tra i due ambiti che il film rivela la sua vena felice: preciso nell’analisi del mondo del lavoro, soprattutto perché il discorso sociale non è mai sganciato dallo sguardo alla sfera intima. Così il film approfondisce la personalità di una moglie depressa e fragile e quella di un marito troppo assorbito dai suoi impegni per accorgersene. Le nostre battaglie, insomma, se affronta un tema (quella della precarietà attuale: non ci sono certezze, perché quando il sociale è sguarnito lo diventa anche la sfera familiare e tutto può sfuggirti dalle mani), non si limita a dimostrare una tesi, a fare della storia un esempio, ma piuttosto a raccontarla quella storia, con le sue peculiarità, le sue caratteristiche. Il terremoto nella vita di Olivier e dei suoi figli è rappresentato senza prese di posizione o moralette confezionate, con scrittura fine, centrata su personaggi perfettamente messi a fuoco, rimanendo attaccata al dramma, senza enfatizzarlo mai. E con un metodo peculiare nella gestione della recitazione: il regista delinea i caratteri e dà un’idea dello scenario agli interpreti, ma non concede loro che poche linee di dialogo sulle quali lavorare, invitandoli piuttosto a improvvisare. La camera a mano, dunque, non è un semplice soggiacere ai codici del cinema realista, ma un modo per cogliere l’essenza del gioco attoriale (si guardi la scena di dialogo tra Olivier, un Romain Duris di compenetrazione commovente, e la sorella, una perfetta Lætitia Dosch).
Cinema civile senza essere dimostrativo a tutti i costi e (lo dico) senza quegli artifici drammaturgici, quelle svisate di stile o invenzioni fuori registro, insomma senza nessuno di quegli sterili espedienti che predilige tanto cinema italiano che rimesta negli stessi temi.