
TRAMA
La giovane americana Isabelle raggiunge a Parigi la sorella Roxeanne abbandonata dal marito e ha una relazione con lo zio di questi. Non è dunque solo il divorzio ormai prossimo a complicare i rapporti tra le due famiglie.
RECENSIONI
Trovo inspiegabile l'astio e il pregiudizio che certa critica manifesta nei confronti dei film di Ivory, regista sì discontinuo ma che può vantare al suo attivo un bel po' di pellicole di qualità. Non si capisce il disprezzo per un cinema letterario che sarà pure dimostrazione di un'idea produttiva limitata e settaria ma che, in alcuni casi, il regista ha dimostrato di saper fare come pochi (THE EUROPEANS, CALORE E POLVERE, CAMERA CON VISTA, CASA HOWARD, QUEL CHE RESTA DEL GIORNO, senza voler contare i titoli del pressoché sconosciuto periodo indiano); si prendano gli adattamenti (da anni curati dalla scrittrice Ruth Prawer-Jhabvala): è veramente difficile riscontrare, soprattutto nel cinema americano, una medesima attenzione nella resa del dettaglio, la stessa cura nel restituire le sfumature dei caratteri dei personaggi, le risoluzioni agili di intrecci che, trasportati dalla pagina sullo schermo, il più delle volte mettono in crisi anche i più valenti sceneggiatori; se a questo si aggiunge un pari controllo di altri aspetti quali l'art direction e l'impeccabile direzioni degli attori mi pare che ce ne sia abbastanza per non fare tanto gli spocchiosi (soprattutto se poi si deve incappare in riduzioni pedestri come THE HUMAN STAIN - tanto per limitarci a un titolo veneziano - trattate con i guanti bianchi solo in virtù della presunta statura autoriale dei loro artefici). Premesso ciò e tenuto conto che comunque LE DIVORCE è ben lontano da certi felici esiti del passato, ci è parso davvero eccessivo il pollice verso decretato da tanta critica per questo film, imperfetto quanto si vuole, ma che ha il merito di mischiare con sapidezza commedia e dramma, consegnandoci il gentile ritratto di due sorelle, immerso in un più ampio spettro di personaggi discretamente coordinato e caratterizzato. Il tempo passa ma Ivory non rinuncia, nel suo raffinato cinema, indipendente e un po' fatuo, ai temi preferiti: il confrontoconflitto tra due mondi diversi, l'inconciliabilità di due culture, l'ambiente che trasfigura chi vi si immerge da alieno. Stavolta il regista, preferendo il sorriso alla lacrima, non guarda al passato prossimo ma al presente e tratta il caos culturale determinato dalla collisione tra due nuclei familiari, uno francese e l'altro americano, attraverso un fuoco di fila di malintesi, discussioni appuntite e una sottile presa in giro reciproca dei due mondi a confronto. Peccato per gli svarioni di tono (la piega sguaiatamente farsesca del finale è una pecca più che vistosa e sbilancia la pellicola in modo evidente), per un personaggio completamente sbagliato (interpretato da Matthew Modine) e per le troppe lungaggini: una maggiore secchezza avrebbe giovato. Cast variegato (va nominata almeno la rediviva Leslie Caron - un riferimento a UN AMERICANO A PARIGI? -) e ben diretto.

Abbandonati pizzi, merletti ed epoca vittoriana, James Ivory racconta una storia attuale, ambientata nella Parigi contemporanea. Il tema principale è l'incontro/scontro di culture diverse attraverso i complicati intrecci familiari e sentimentali di due sorelle americane in terra francese. Cambia l'epoca, ma non la classe sociale: da un'ingessata nobiltà a un'ingessata borghesia. Difficile appassionarsi a individui per cui il massimo della vita è possedere una borsa "Kelly" di Hermes e infatti il film, pur percorso da un leggero brio, risulta freddo e distaccato. Colpa soprattutto di una sceneggiatura attenta ai dialoghi ma incapace di prendere una direzione precisa: non si piange e non si ride, nonostante tutti piangano e ridano spesso. Le differenze culturali sono perlopiù giocate sulla smitizzazione dei luoghi comuni, ma non c'è alcuna profondità e Francia e America finiscono per essere sintetizzate in slogan contrapposti che restano in superficie. L'egoismo di tutti i personaggi viene solo accennato, mai messo a fuoco. Il sospetto è che al regista, più attento a rendere innocua qualsiasi possibile implicazione, poco importino la visceralità e il destino dei protagonisti. Parigi è un piacevole sfondo, ma la fotografia di Pierre Lhomme permea persone e situazioni di una luce un po' funerea che stona con la forzata leggerezza del racconto. Gli interpreti sono a loro agio: Naomi Watts è ormai una garanzia, Kate Hudson si diverte e risulta simpatica, Glenn Close ha sempre occhi pungenti e verve ed è un piacere riscoprire, pur nell'antipatia del ruolo, Leslie Caron.
