Horror, Recensione

L’ARCANO INCANTATORE

NazioneItalia
Anno Produzione1996
Genere
Durata96’

TRAMA

1750: in fuga da una condanna, un ex-seminarista accetta di prendere il posto del defunto Nerio, segretario di un ricercatore dell’occulto.

RECENSIONI

Le fiabe esoteriche delle campagne italiche hanno affascinato Pupi Avati sin dall'esordio (Balsamus l’Uomo di Satana). Il bolognese ha inventato un filone horror atipico, poiché ancorato alle tradizioni e superstizioni popolari dei secoli scorsi. Nonostante il racconto sia ambientato nel secolo dei lumi, Avati è più interessato a giocare sulle suggestioni incubali e i presagi negromantici, che a sondare un periodo storico e i suoi riflessi sul nostro presente come nel più ambizioso Magnificat. Evoca i fantasmi come fa il suo neo-Balsamus (lo spretato interpretato da Carlo Cecchi, basato su di una figura realmente esistita, ricorda da vicino il "Cagliostro" del suo esordio) ma con un intento opposto: il personaggio del suo racconto li vuole distruggere alla luce della conoscenza, della ragione che condanna l'ignoranza e la malafede. Avati, invece, vuole (e ci riesce) stimolare le pulsioni inconsce dello spettatore immergendolo nei misteri più arcani e le sensazioni più inquietanti, fra scricchiolii, forze del male, legami oscuri, macabri fetori, lumi di candela, manifestazioni soprannaturali, anime intinte nel nero del confine fra la vita e la morte, sensi di colpa cattolici (pruriti sessuali peccaminosi inclusi: le converse vogliose, la prostituta sifilitica). In una pellicola che vive d'attesa e mistero, getta le basi di un apologo più ampio per poi, però, morire di claustrofobia fra tanto verbo e quattro mura (la biblioteca), dimenticando il dramma di solitudine che lega i due protagonisti e andando appresso ad un vampiro, alle sue cantilene, a colpi di scena mediamente inefficaci, alla luce di un finale sospeso.