Commedia, Drammatico, MUBI, Recensione

L’AMORE SECONDO ISABELLE

Titolo OriginaleUn beau soleil intérieur
NazioneFrancia
Durata94'
Liberamente ispirato a Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Isabelle è una pittrice divorziata, con un figlia di dieci anni. Aspetta che la sua vita venga riempita da un amore. C’è un banchiere, un tipo eccentrico, che prima la seduce e poi le assicura che non lascerà mai la moglie. C’è un attore, forse. O forse un uomo conosciuto per caso, lontano dall’ambiente delle sue solite frequentazioni. Cosa fa, Isabelle, quando non è innamorata? “Niente”, dice lei, ma in realtà soffre, s’illude, spera, dubita, desidera, balbetta, piange.

RECENSIONI

All’apparenza pare lontano anni luce da tutto ciò a cui Claire Denis ci ha abituato, regista antitetica alle smancerie, a completo digiuno di sfumature rosa, creatrice di oggetti oscuri, riflessioni postcoloniali senza sconti. Una specie di goffa commedia sentimentale (o spacciata come tale) che a furia di inciampi, bruciature e lacrime si trasforma in un piccolo dramma esistenziale, leggero e malinconico, che si diverte a gettare un grammo di sale e onestà sulle ferite del cuore di tutti quanti (lo splendore e i cinquant’anni di Isabelle/Juliette Binoche sono tranquillamente una coincidenza). È la quieta potenza di un realismo intimo e a suo modo spietato il filo conduttore, qui dispiegato lungo i meandri di un territorio insolito per l’autrice francese, che si ispira molto liberamente ai Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes per restituirci un film che proprio di schegge e frammenti è composto. Claire Denis recide le connessioni mediane, inanella episodi, confronti verbali, reazioni, dritto al nocciolo della questione sentimentale, senza un prima né un dopo, in un continuo agguato di possibilità. Dialoghi, lunghi dialoghi cerebrali e prolissi fra la bella Isabelle, madre e pittrice divorziata, e il suo circo Barnum di amanti e spasimanti: un banchiere dalla boria incredibile, un attore narciso e instabile, un inquietante sconosciuto che la avvicina sulla pista da ballo, lo spettro dell’ex marito che ritorna. Sono tutti uomini fallati, immaturi, portatori di corpi spesso non più giovani, sicuramente imperfetti, così reali, al limite del ridicolo. Ma Isabelle, in fondo, non è da meno. Cosa vuole Isabelle? È una domanda destinata ad essere contraddetta, lasciata senza risposta. Isabelle sembra cercare l’amore e se non lo trova piange, Isabelle si illude e si disillude, si lamenta a vuoto e ogni volta che le si palesa un’opportunità pare decidere all’instante di volere l’esatto opposto. Ricca, bella e di talento, con un talento speciale per le scelte sbagliate, l’insoddisfazione cercata con (in)consapevolezza quasi scientifica. Una Madame Bovary parigina dei giorni nostri, in costante bilico fra l’eroico e il magnificamente patetico, che la Denis mette in scena con piglio flaubertiano, impassibile, ma anche pieno di umanità, che pur evitando ghirigori e falsi addolcimenti, ci fa percepire ad ogni passo il calore di uno sguardo complice, comprensivo. Se l’autrice compie l’impresa di portare sullo schermo un personaggio tanto onesto e reale, è anche grazie al contributo luminoso di una Juliette Binoche in totale stato di grazia, prestata anima e corpo al suo personaggio, in grado di respirare senza sforzo fra le sfumature di Isabelle e i piani sequenza entro i quali la regista incastona dialoghi, tentativi e distanze. Gerard Depardieu nel finale è un’ultima sorpresa: nei panni di un bonario veggente, consiglia alla protagonista di far brillare il proprio sole interiore. E di rimanere “open”. Che vuol dire tutto e non vuol dire niente. Un altro simpatico mascalzone. E mentre i titoli di coda appaiano su scena, il dialogo continua fra i due continua, a lungo.