TRAMA
Jed si innamora di Joe dopo averlo incontrato casualmente sul luogo di un incidente: lo perseguiterà mettendo in crisi il rapporto di Joe con la sua donna.
RECENSIONI
Sembra che Michell abbia deciso di darsi alle riduzioni impegnative ed ecco che dopo THE MOTHER (tratto da Kureishi) rivolge la sua attenzione a un romanzo (in verità minore) di Ian Mc Ewan, torbido cantore di inquietudini e ossessioni e che ne L’AMORE FATALE (titolo italiano fuorviante visto che glissa sulla questione centrale del libro e del film: quella della durevolezza dell’amore – e se questo, in definitiva, non sia mera questione biologica volta a garantire la continuità della specie - e sulla conseguente possibilità che la sola follia possa condurre a un amore che non conosca fine) concentra la sua attenzione sull’infatuazione psicotica di un giovane (un perfetto Rhys Ifans) per un professore; questa mania si scontra con la paranoia di quest’ultimo per la dinamica dell’incidente di una mongolfiera, circostanza tragica che ha segnato il loro incontro. La vicenda, ben sfrondata dallo sceneggiatore Joe Penhall, si sviluppa dunque su due piani: da un lato il maniacale tampinare di Jed che cerca di convincere Joe a cedere al suo improvviso, immenso amore, dall’altro il proposito di Joe, oramai divenuto tormento assillante, di valutare tutte le possibilità e le ipotesi legate all’evento tragico, fissa che si trasforma in una sorta di indagine che sfocia in una bolla di sapone (non c’era nulla da sapere, non c’era nulla da capire, tutto è avvenuto in maniera accidentale e le persone che erano intervenute si trovavano nel posto casualmente). I due chiodi fissi finiscono per conficcarsi nel fianco della moglie di Joe (la Morton), costretta, in un modo o nell’altro, a difendersi da entrambe le paranoie e che vedrà il rapporto col marito incrinarsi inevitabilmente. Questa complessa congerie di implicazioni, fulcro di un romanzo a tratti fin troppo denso, è molto ben resa dal regista che, pur puntando molto sul registro del thriller psicologico, non trascura il disegno dei personaggi riuscendo a farne emergere a dovere le sfaccettature, in particolare il travaglio interiore di Joe (un Daniel Craig assai bravo), che impara a sua spese a mettere in discussione le sue convinzioni sull’esistenza, ragione&sentimento. Il regista, che gira la scena dell’incidente della mongolfiera in maniera spettacolare rendendo adeguatamente quella che è la parte più celebrata del volume (lo straordinario capitolo iniziale), sceglie per il resto un taglio visivo volutamente scabro e, supportato anche dall’ottima direzione della fotografia, assolve il suo non facile compito in maniera convincente.
Nella trasposizione per il cinema l'omonimo thriller dell'anima di Ian McEwan trova una fedele rappresentazione. Non solo nella successione degli eventi, ma proprio nella delicata operazione di scavo psicologico sui personaggi. La causa scatenante è l'assurdo incidente di una mongolfiera, un evento straordinario e imprevedibile che provoca una serie irrefrenabile di conseguenze riunendo, per puro caso, persone che non si conoscono e modificando per sempre il corso delle loro vite. Sono tanti gli spunti suggeriti dal romanzo a cui il film dona visibilità. Al centro l'ossessione amorosa di Jed Parry, un fanatico religioso, verso Joe Rose, un divulgatore scientifico, e di riflesso tutte le sfumature dell'amore, dalla passione all'affetto, fino all'indifferenza. È interessante vedere come la patologia di Jed trovi terreno nelle insicurezze di Joe e riesca a dare voce a una parte aggressiva, insoddisfatta e frustrata che lo stesso Joe non avrebbe mai pensato di avere. Roger Michell, dopo i fasti di "Notting Hill" e il low budget di "The mother", trova una dimensione intermedia in cui dimostra di sapersi muovere a proprio agio. Costruisce con la tensione e lo stupore necessari l'antefatto della vicenda, immerge Londra in una luce acida, segue il crescendo narrativo con senso del ritmo e non dimentica la maturazione psicologica dei personaggi, fino a un risolutivo confronto finale, compatto e disturbante nell'apparente pacatezza in cui si consuma. C'è da dire che già la sofisticata progressione letteraria di McEwan gode di una scansione molto cinematografica. In parte anche il cast. Daniel Craig conferma di non essere più solo una promessa e Samantha Morton esce, anche se solo parzialmente, dal suo cliché interpretativo fatto di silenzi o scene madri. Corrispondente all'immagine evocata dal romanzo la fisicità dinoccolata di Rhys Ifans.