TRAMA
Sicilia, anni Settanta. Reduce dal fallimento di una comune, Fortunato torna al paese natale con la moglie, la finlandese Màrja, e le due figlie. L’inserimento non è facile…
RECENSIONI
Anne Riitta Ciccone trae dalla sua commedia Amarsi da pazze un piccolo film pieno d’ingenuità (gli inserti in bianco e nero macchiato di colore e in super8 che rievocano gli anni Quaranta, i Settanta e il mondo sommerso della fantasia), prolissità teatrali (i dialoghi irrigiditi in un’ostentata compostezza letteraria), cadute di gusto (i “fumosi” squarci onirici, soprattutto quelli che illustrano il trip di Alice) ma anche di un amore, un coraggio, un’urgenza di raccontare che sono sempre più rari nell’asfittico cinema italiano. Lo spunto dichiaratamente autobiografico (il film è dedicato alla madre della regista) potrebbe far pensare a un trito film-confessione, ma L’AMORE DI MÀRJA si risolleva presto dalla piatta cronaca di un amore violato e irresistibilmente vivo: se le prime sequenze (con i frustrati tentativi d’integrazione messi in opera dalla giovane madre, straniera e indipendente, quindi doppiamente isolata nell’assolata e raggelante cornice siciliana) si limitano a elencare luoghi comuni (comunque gestiti con pudica essenzialità e non senza invenzioni visive, vedi il litigio notturno in riva al mare sullo sfondo dei fuochi artificiali), l’inevitabile scivolare della donna in una follia per nulla giocosa, che rovescia in paranoica claustrofobia i sogni (non definitivamente) infranti delle bambine, trova accenti di scabra commozione, sottolineature improvvise quanto inattese (le opprimenti soggettive in cui Màrja si vede ossessivamente fissata da tutti, Alice che getta occhiate furtive alle martoriate unghie della madre), squarci incantati (il provvisorio ritorno in Finlandia, in un bosco che assume, nel prefinale, contorni da Campi Elisi del ricordo) che riscattano le soluzioni alquanto sbrigative di alcuni snodi narrativi [la (precaria) guarigione, l’assenza di Fortunato – più detta che percepita –, il ribellismo stereotipato – pasticche, un po’ di sesso e punk-rock con moderazione – delle ragazze].
L’opera è dominata dal triangolo familiare (la cosa meglio risolta di tutto il film): più che madre e figlie, Màrja, Alice e Sonia sono tre sorelle che si proteggono a vicenda, si amano, si odiano, soprattutto vogliono tornare a casa, sirene decise ad attraversare il mare, lasciando una terra che ha sempre rifiutato di accoglierle. Riprendere contatto con la Natura equivale a riscoprire la propria natura, liberare i sogni rinchiusi in un armadio, trasformare la realtà nel mondo sommerso dell’infanzia ritrovata: non a caso il film si chiude sulla figlia di Sonia, rappresentante di una generazione conscia delle proprie radici (anche a livello linguistico) e pronta ad ascoltare la storia di trent’anni di affetti sommersi. Prove d’attore di limpida intensità e grottesco livore (a seconda dei casi): su tutti e tutto spiccano la bellezza tersa e l’espressività disarmante di Laura Malmivaara, quasi un’icona preraffaellita.
